Rimatori siculo-toscani del Dugento/III - Rimatori pisani/IV. Betto Mettefuoco
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IV
BETTO METTEFUOCO
Si mostra lieto di essere in servitù d’Amore per una donna avvenente.
Amore, perché m’hai
distretto in tal misura,
ch’eo non posso contare
ben le mie pene a chi mi fora ’n grado?
5Ardir non poss’ormai
di dir, tant’ho paura!
Cusi mi fa’ dottare
di perder quell’und’eo allegro vado.
Molt’ho grand ’allegrezza
10de la dolse ’contezza
ch’agio co’ l’avenente,
che par che i sia piagente — mia contanza.
Però ’nde temo forte,
e paur’ho di morte,
15che no le dispiacesse
s’eo più su le dicesse — ch’aggio usanza.
Se vo’ vegno, e non veggo
o sprendiente viso
che sguardi con pietanza
20e parli dolcemente con placire,
tuttor con voi mi reggo
e non ne son diviso.
Vivendo in isperanza,
son gai’ e fresco e raffino ’n servire;
25né lo meo pensamento
non può escir di tormento,
pensando a farv’onore,
donna di gran valore, — pienamente:
ca per lo vostro bene
30mi pare escir di pene,
cusi forte mi piace,
piò che lo meo non face — fermamente.
Or dunqua com’faraggio,
poi la mia malatia
35non oso adimostrare
a chi mi può guerir e far gioioso?
Ben so che ne moraggio
di corto qualche dia:
nonde poro campare,
40se no m’aiuta ’l viso grazioso,
per cui piango e sospiro
tuttor, quando la smiro,
e dico ’nver’di mei:
— Lasso! Perché colei — eo amai tanto r"
45Possa riprendo ’l dire
e’ ho fatto e dico: — Sire
Deo, cotal fenita
facesse la mia vita — e fora santo! —
Madonna, penso forte
50de la mia natura
che passa l’assessino
del Veglio de montagna disperato;
che per metersi a morte
passa in aventura;
55e gli è cosí latino,
noi gli è gravoso, ch’egli è ingannato.
che ’l Veglio a lo’ ’mprimero
lo tene in del verdero,
e fai parer che sia
60quel che fa notte e dia — di bono core.
Ma io, ched ho veduto
lo mondo e conosciuto,
agio ferma credenza
che la vostra potenza — sia magiore.
65S’eo sono inamorato
cosi in dismisuranza,
e’ credo fare acquisto
due cose: quelle ond’io fallo e son saggio.
Saggio son: che fermato
70so senza dubitanza
là ’ve compose Cristo
bellezze tante, ch’altrui fann’oltraggio;
che son si sprendiente,
ch’io non posso neiente
75contarle bene e dire:
che fa tutto avenire — a chi la guarda.
Fallo: ch’amo l’altezza,
somma di gentilezza
al meo parer che sia,
in cui tutto m’avia — arimembrando.