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Appendici - V. Difesa di Luigi Settembrini dettata innanzi la Corte Criminale di Napoli il dì 9 e 10 gennaio 1851 Indice dei nomi
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NOTA

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Non mi è stato possibile ritrovare il manoscritto originale delle Ricordanze. Nessuna traccia nelle biblioteche, negli archivi, nei musei napoletani. Interpellati, i superstiti scolari del Settembrini non poterono darmi nessuna indicazione, neppure sui discendenti diretti di w:Raffaele Settembrini, presso cui si suppone possa trovarsi il manoscritto. Nessuna traccia del manoscritto fra le carte di Peppino Settembrini, che, donate dagli eredi al sottomarino «Luigi Settembrini», ora si trovano depositate nel Museo del Risorgimento di Roma. Perciò per questa edizione ho preso come base la prima edizione del 1879-80. Per la prima parte, la cui stesura definitiva rimonta al Settembrini, ho riprodotto fedelissimamente il testo, tranne lievi ritocchi nei criteri tipografici e nell’ortografia, per uniformarmi ai criteri generali della collezione. Per la seconda parte, costituita da frammenti e da lettere messi insieme da Raffaele Settembrini, mi son permesso un lavoro di riordinamento: 1. Ho suddiviso in due parti il materiale: quella riferentesi al processo e alla condanna e quella riferentesi all’ergastolo. 2. Ho rinviato in appendice le diverse difese del Settembrini, il cui valore autobiografico non può essere messo alla pari con gli altri frammenti, e ho trasferito in nota la lettera del Panizzi. 3. Ho riordinato le lettere riferentisi al tentativo di evasione secondo l’ordine cronologico ristabilito da G. Capasso, I tentativi per far evadere Luigi Settembrini dall’ergastolo di Santo Stefano negli anni 1855-56, in Risorgimento Italiano, v. I, 1909, p. 29 ss.; e ho trasferito al 1856 un lettera erroneamente assegnata al 1854. 4. Ho inserito al posto dovuto una lettera di ringraziamento all’avvocato difensore che si trova al Museo Risorgimento di Roma e un frammento estravagante del diario d’ergastolo, pubblicato da Salvatore Tocci Monaco in un opuscolo in onore del Placco. 5. Ho [p. 602 modifica] posto ai diversi frammenti i titoli, per analogia con la prima parte. 6. Ho segnato fra parentesi quadre [ ] ciò che si deve espungere; e fra parentesi angolari ⟨ ⟩ i completamenti congetturali e le eventuali rettifiche.

Aggiungo infine alcune poche note che o forniscono qualche complemento, o, rinviando alle piú recenti pubblicazioni aiutano ad intendere il processo di trasfigurazione quasi leggendaria che i fatti subiscono nella narrazione del Settembrini: trasfigurazione da me studiata nel mio saggio Luigi Settembrini in Figure e Passioni del Risorgimento Italiano, Palermo, 1933, p. 101 ss.

p. 3, r. 19: Nova Siri, di questo paese v. la descrizione nella memoria che B. Croce ha dedicato a Isabella di Morra, in Critica, XXVII (1929), p. 23 ss.

p. 3, r. 11: La narrazione dei fatti del ’99 è giá leggenda. P. e. i due Filomarino furono massacrati non nel periodo dell’investimento di Napoli da parte del Ruffo, ma prima; quando fuggito il re, lo Championnet marciava sulla cittá abbandonata a se stessa.

p. 5, 28: Santo Stefano. L’episodio, se è vero, non potè aver luogo a Santo Stefano, perché il marchesino di Genzano non vi fu mai. Cfr. G. Ceci, Filippo Marini, in Studi di storia napoletana in onore di M. Schipa, Napoli, 1926, p. 573 ss.

p. 9, 9: padre mio. Alcuni saggi poetici del padre del S. sono ora in possesso del prof. Domenico Bulferetti, il quale si trova — secondo quanto cortesemente mi comunica — in possesso di un fascio di manoscritti lasciati dal S. a Catanzaro quando fu arrestato nel 1839.

p. 22, r. 14: Salerno: sui moti del Cilento cfr. la monografia di M. Mazziotti, La rivolta del Cilento nel 1828, Roma-Milano, 1906.

p. 24, r. 17: giudizio. Su questo procedimento cfr. le conclusioni del pubblico Ministero: G. Celentano, Conclusioni pronunziate innanzi alla Corte Suprema di giustizia... nei giorni 30 giugno e 1° luglio nella causa contro F. N. De Mattheis..., Napoli, 1830; e la ricostruzione del processo compiuta da Andrea Genoino, Re, Cospiratori e Ministri nel processo De Mattheis, Cava dei Tirreni, 1933.

p. 32. Su questo tentativo dell’Intontí cfr. G. Paladino, Napoli nei primi mesi del 1831, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli, 1926, p. 729 ss. [p. 603 modifica]

p. 33, r. 19: di Francia. Su questa congiura detta del monaco, cfr. G. Paladino, La congiura del Monaco, in Arch. stor. per le prov. napoletane, N. Serie, v. XIV, p. 285 ss. Il Settembrini fu compagno di deportazione di Vito Purcaro, che partecipò a questa congiura.

p. 34, r. 24: nella milizia: cfr. in proposito M. Mazziotti, La congiura dei Rosaroll, Bologna, 1920.

p. 35, r. 9: nel regno: Sul Poerio cfr. B. Croce, Una famiglia di patrioti, Bari, 1927. Sul Bozzelli, B. Croce, Ivi, 129 ss.

p. 39, r. 9: ricchezza: evidente palinodia all’accusa di ladro lanciata dal S. al Santangelo nella Protesta.

p. 62, r. 14: La giovane Italia, su tutta questa prima congiura cfr. i documenti d’archivio pubblicati da G. Paladino, Benedetto Musolino, Luigi Settembrini, e i «Figliuoli della Giovane Italia», in Rassegna storica del Risorgimento, 1923, fasc. IV.

p. 63, r. 32: un concetto monco: su questo grosso fraintendimento del Mazzini e sulla sua probabile origine, cfr. Omodeo, Figure e passioni del Risorgimento italiano, 1933, p. 105.

p. 77, r. 10: principe di Capua: su Maria Cristina cfr. B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari, 1927, II, 266 ss. Sull’incidente tra il re e suo fratello cfr. Lega del Bene, anno X, N. 33. Sulla vita del principe di Capua cfr. Irma Arcuno, Vita d’esilio di Carlo di Borbone principe di Capua, in Samnium, 1932, n. 3 e 1933, n. 1.

p. 146, r. 14: lettere non belle: sono state pubblicate da R. Pierantoni, Storia dei fratelli Bandiera, Milano, 1909, p. 427 ss.: sono meno gravi di quanto le giudica, dopo il ’60 e la condanna morale dei Borboni, il Settembrini. Con queste lettere il capo dell’impresa tentava di migliorar la difesa del suoi compagni, presentando il tentativo come diretto a porre Ferdinando II a capo del moto nazionale.

p. 158, r. 28: Giovanni Raffaele: dopo l’apparizione delle Ricordanze il Raffaele rivendicò per sé piú larga parte nella collaborazione alla Protesta. Cfr. lo studio, poco benevolo per la Protesta, di G. Fortunato, Dalla protesta del Settembrini alle sue concomitanze, in Appunti di storia napoletana dell’Ottocento, Bari, 1931, p. 176 ss.

p. 160. Nell’archivio di stato di Napoli esiste l’incartamento sulla Protesta: Pref. di Pol., 703, vol. I e II. I fatti corrispondono in complesso [p. 604 modifica] alla narrazione del Settembrini. Ma tra i mediatori fra il tipografo e l’autore ha parte notevole il Raffaele, che si salva con la fuga: sí che la polizia finisce a credere la Protesta opera di siciliani, e a sospettarne autore un certo Luigi Orlando da Palermo.

p. 165, r. 12: non ha lasciato altra ricchezza. Altra palinodia della Protesta che bollava ladro il Santangelo.

p. 314. lo aveva presentato in un paniere al re: esagerazione leggendaria. Sulla fine del Carducci cfr. Mazziotti, Costabile Carducci ed i moti del Cilento nel 1848, Roma Milano, 1909, v. II, p. 34 s. Sui rapporti fra il Peluso e Ferdinando II cfr. R. de Cesare, La fine di un regno, I, 3a ed., p. 18 s.

p. 316. il 30 i francesi in Roma. Errore di data: i francesi entrarono in Roma il 2 luglio.

Parte seconda.

Per le vicende del processo sono da consultare: Requisitorie ed Atti d’accusa del consigliere proc. gen. del re, presso la gran corte criminale... nella causa della unitá italiana, Napoli, 1850.

Conclusioni pronunziate nella causa della setta l’unitá italiana dal consigliere proc. gen. del re Filippo Angelillo, Napoli, 1850.

Decisione della gran corte speciale di Napoli nella causa della setta l’unitá italiana, pubblicata alla udienza del 1° febbraio 1851, Napoli, 1851.

G. Paladino, Il processo per la setta l’«unitá italiana», Firenze, 1928, (opera però confusa e di tendenze sottilmente borbonizzanti).

Gennaro Radice, Il processo di L. Settembrini... ed il magistrato Gennaro Radice, in Le Opere e i giorni, dic. 1933, p. 35 ss.

p. 261. Questa lettera non faceva parte della prima ediz. delle Ricordanze. Si conserva nella Bib. del Risorgimento di Roma: 259 (1).

Parte terza.

p. 28, r. 3-4: piú di mille uccisi: dato statistico poco verosimile.

p. 81 ss. È questo il passo estravagante delle Ricordanze, riportato da Salvatore Tocci Monaco nell’opuscolo in onore del Placco: Dieci anni di vita ergastolana sullo scoglio di Santo Stefano. Scritti inediti di Luigi Settembrini e Gennaro Placco, Corigliano Calabro, Tip. Fr. Capobianco, 1892. Il profilo (p. 14 ss.) è parzialmente riprodotto di sul [p. 605 modifica] manoscritto da Attilio Monaco, I Galeotti politici napoletani dopo il ’48, Roma, 1932, vol. I, p. 265 s.

Il Tocci Monaco (loc. cit.) pubblicò anche il biglietto con cui il S. inviava il bozzetto all’antico compagno d’ergastolo, e val la pena di riprodurlo perché l’opuscolo è ormai assai raro:

«Nelle mie memorie, dove soglio scrivere i miei pensieri e disfogare in parte i dolori dell’anima mia straziata, ho scritto alcune parole intorno a te, o mio Gennarino. Tu hai lette tante mie parole sconsolate, che sconsolatamente ho gettato su quelle carte: leggi anche queste che ti trascrivo e che ti prego di serbare per memoria della nostra amicizia e della nostra sventura. Un dipintore ritrasse la tua immagine sulla tela: io ho ritratto l’immagine dell’animo tuo in poche parole. Tu un giorno potrai mostrarla a qualcuno e dire: «Ecco come mi pregiava e mi amava uno che non pregiò e non amò, altra cosa al mondo che la virtú e la veritá».

È pure interessante la lettera che il Settembrini, fierissimo nel non chieder la grazia per sé, indirizzava allo zio del Placco, proponendogli un tentativo per ottener la grazia per Gennarino (Tocci Monaco, p. 25 ss.).

«Al Signore
il sacerdote don Domenico Placco,
Civita.


Mio stimatissimo signor don Domenico,

L’amicizia che ho per Gennarino vostro nipote mi consiglia di scrivervi questa lettera, senza che egli sappia nulla: lo saprá quando sará giá partita. Io vedo con dolore questo caro giovine cosí buono e cosí ingegnoso sfiorire i piú begli anni della sua giovinezza negli orrori dell’ergastolo, e vorrei fare ogni cosa per vederlo fuori di questo luogo. A lui non conviene, né io mai lo consiglierei, scrivere o sottoscrivere dimanda per una grazia intera o per una diminuzione di pena; e voi che avete senno e prudenza, ne comprenderete la ragione.

Ma quello che non conviene a lui, conviene benissimo alla sua famiglia: ed io so che la famiglia ha fatto una domanda che non raccomandata, non fiancheggiata dai mezzi che i tempi vogliono, non è stata esaudita. Ora io voglio proporvi un modo che forse potrebbe riuscire a bene. [p. 606 modifica]

È in Napoli l’avvocato Cesare Mazzei, conosciuto in Cosenza, perché d’un paesotto lí vicino. Costui ha ottenuto per parecchi condannati politici una commutazione alla pena dei ferri a quella di dieci anni di relegazione mediante una somma di seicento od ottocento ducati, della quale non si paga un carlino se prima non è ottenuta la grazia. Il fatto è certissimo, notissimo: ed alcuni giá condannati ai ferri e poi aggraziati per questo modo ora sono liberi e stanno a casa loro: io li conosco e potrei dirvene i nomi. Non potreste voi, pagando una somma di sei, sette, otto, dieci centinaia al Mazzei, ottenere per Gennarino che v’è figliuolo d’amore, che esca dall’ergastolo e vada, ai ferri no, ché i ferri son peggiori dell’ergastolo, ma relegato in un’isola? A voi non mancano conoscenti od amici da parlare al Mazzei, stabilire i patti, avviare la faccenda: egli farebbe da sé il resto e tratterebbe per lettera direttamente con voi. Io che conosco come pensa Gennarino, e ciò che a lui piú conviene, vi dico che egli non sottoscriverá mai petizione alcuna, e vuole piuttosto rimanere nell’ergastolo che discendere alla pena dei ferri: onde è necessario che nei patti si spieghi chiaramente l’una cosa e l’altra.

Nella petizione che farebbe la famiglia si potrebbe dire chiaro e semplice il fatto. Questo povero giovine nato in un paesello, educato in un collegio, non uscito mai dal nido, era un pulcino col guscio in capo e studiava in Castrovillari; nel ’48 tutti si mossero, ed ei si mosse, tutti presero le armi, ed anch’egli le prese: tutti combatterono, ed anch’egli combattè: non fece niente piú degli altri che o non patirono nulla, o ebbero lievissime pene giá finite; ma, piú sfortunato degli altri, fu ferito di cinque ferite, storpiato nella mano destra, e perché preso con le armi alla mano, dannato a morte, e poi, per grazia, all’ergastolo, dove sta da cinque anni. Giovine, inesperto, di ventidue anni, senza antecedenti politici, appartenente a famiglia onesta, morigerata, tranquilla, devota, ed ultimamente colpita da fierissima sventura1, egli ha sofferto anche troppo. Ebbe anche la sventura che la sua causa fu fatta la prima fra tutte le altre nella provincia2; però ei fu colpito di piú grave pena. Per tutte queste considerazioni fargliela una grazia, saria, non dico giustizia, ma equitá, pietoso [p. 607 modifica] consiglio. Se la supplica fosse breve, ma semplice, chiara, franca, senza giri e parole avvocatesche, saria molto migliore ed efficace.

Ho voluto scrivere tutto questo, o mio egregio don Domenico, perché amo questo mio amico, e perché so che voi lo amate ed ora piú che mai vorreste che egli fosse in casa. Non mi muove altro fine che questo. E perché io amo Gennarino, amo ancora tutta la sua buona famiglia, e vorrei veder lui e voi tutti contenti.

Mi direte: e perché tu non usi per te il consiglio che dai a me? Io non posso: e non è necessario che ve ne dia le ragioni.

Quello che a voi parrá di fare potrete scriverlo a Gennarino: il quale, come vi ho detto, saprá di questa lettera quando essa sará giá partita. Se questo mezzo che vi suggerisco avrá buona riuscita; se Gennarino vostro potrá ritornare a voi, ai fratelli, e ai due orfani nipoti, che egli chiama figli suoi; se voi potrete esser tutti consolati, io sarò contentissimo e crederò di sofferire meno.

State sano, o rispettabile uomo, e vivete lungamente all’amor della vostra famiglia. Saluto Ciro ed Andrea: e bacio Marta e Ludovico come potrei baciare i miei figliuoli. Gennarino sta benissimo: mangia bene, dorme meglio: traduce bene dall’inglese, sta lieto quando ha notizie vostre: ha senno e prudenza, ed ogni giorno mi parla di voi, del padre, della madre, dei fratelli, del collegio, delle scapataggini sue, della sua Civita, dei primi anni della sua vita. In primavera ha voluto farsi una curetta depurativa, ora sta sano come un pesce. Ve lo dico per consolarvi. Vi saluto e vi prego di credermi vostro affezionato e vecchio amico

Luigi Settembrini».


L’opuscolo del Tocci Monaco contiene pure alcune commoventi lettere scambiate fra il Settembrini e il Placco, quando, imbarcato il S. per l’America, il giovane calabrese fu lasciato nell’ergastolo.

  1. Allude all’assassinio del fratello Luciano Placco, commesso nel settembre ’54 dai briganti.
  2. Il 4 settembre 1849.