Rapisardi e Carducci - Polemica/III
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III.
Dal Diavolo Rosso — Messina I Maggio.
MARIO RAPISARDI E I LIBELLISTI
A Catania la gioventù studiosa fece una dimostrazione d’affetto a Mario Rapisardi. Una ne à fatta oggi la gioventù studiosa di Messina. Un’altra ne farà domani quella di Palermo. — Domandiamo che cosa vuol dire quest’agitazione?
Quest’agitazione vuol dire che la prepotenza è insoffribile anche in letteratura. Una combriccola di gente, la quale si trova umiliata innanzi alla superba figura del poeta della Palingenesi e del Lucifero, cerca di demolirla, calunniando. Mario Rapisardi è tenuto da molti come il primo tra i poeti viventi d’Italia. Egli é arrivato a quest’altezza senza il puntello degli amici; egli ha saputo tradurre stupendamente la Natura di Lucrezio, quando un altro smaniava e sveniva recando in pallide strofettine italiane qualche piccolo canto del Heine o del Platen; egli ha compiuta serenamente la sua splendida evoluzione poetica e scientifica, quando un altro caracollava e sgattaiolava tra classicismo e romanticismo, tra inni democratici e odi cortigianesche. Perchè far posto all’impotente cercando di rovesciare il colosso?
Vittor Hugo, il più grande tra i poeti del secolo, dopo il Goethe o col Goethe, scrisse al Rapisardi: «voi siete un precursore.» È questo che fastidisce le dissanguate chiesuole bolognesi?
Parliamoci chiaro. Il Carducci declina, da due anni a questa parte. Il Chiarini, inſelice! non fu mai poeta; ma fu versaiolo; non fu traduttore, fu traditore. Lo Stecchetti dopo le Postuma tirate su a furia di stenti da Leone Fortis, peggiorò nella Polemica; ora tace. Nè ciò solamente: il Carducci in una questione di letteratura romana contro un giornalista, il De Zerbi, ebbe la peggio. Un professore contro un giornalista! via, la rabbia potrebbe parere giustificata — Ma la calunnia?
Il Rapisardi si prepara a seppellire i suoi rivali col suo nuovo poema, il Giobbe. Il Giobbe è una concezione stupenda, sarà il poema dei tempi moderni: che cosa fanno gli altri, in nome di Dio?
Si parla di moralità letteraria; o come? Sarebbe egli dunque morale il raccogliersi in combriccola per imperare, rimanendo oziosi, nel campo delle lettere? O perchè scrivete il Chiarone ch’è un pasticcio di secentismo scolorito e di realismo slombato? O perchè scrivete l’Aurora ch’è una prova miserabile di sciatto alessandrinismo? Vi secca dunque che qualcuno abbia muscoli da creare l’Ottobre, vale a dire qualche cosa che vibra nell’anima con la serena euritmia classica di un coro greco di Sofocle o d’un elegia moderna del Goethe?
Siamo onesti. Lasciate che l’aquila voli; ci sarà posto anche pe’ passerotti. Che importa a noi se i vostri versi non si leggono o non si capiscono? Non sarete nati per questo; fate qualche altra cosa. Da monarchici siete divenuti repubblicani, e da repubblicani monarchici; potete smettere i versi e tentare di manipolare le droghe: il mestiere è più comodo. Ma l’aquila è sempre l’aquila, ricordiamocene bene.
Un signore che guarda