Ragguagli di Parnaso (Laterza)/Centuria prima/Ragguaglio LXII
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RAGGUAGLIO LXII
Per la promozione di Diogene cinico a grado maggiore essendo vacata l’onorata cattedra della tranquillitá della vita privata, Apollo ne provede il famoso filosofo Crate, che la rifiuta.
Diogene cinico, quegli che per tanti anni con molto frutto universale e infinita sua gloria particolare ha esercitato il carico di lodar nella pubblica cattedra di queste scuole la povertá, la solitudine e la quiete dell’animo, per le persuasioni del quale lo stesso Attalo, re de’ tesori, fece quell’ammirabile risoluzione di gettar le sue ricchezze per abbracciar la setta stoica, che in Parnaso è stata di tanta edificazione, due mesi sono per li suoi grandissimi meriti fu esaltato alla sublime dignitá di arcifanfano delle serenissime muse. Onde cosí nobil luogo essendo rimaso vuoto, Sua Maestá lo diede al famoso Crate; il quale ier mattina andò ad Apollo, e contro l’aspettazion d’ognuno rifiutò cosí nobil carico, liberamente dicendo che, per la promozion di Diogene a quella immensa dignitá grandemente essendo stata deturpata la cattedra della povertá e della quiete dell’animo, non gli dava il cuore di poter esercitar l’officio suo con quell’ardore, con quella schiettezza e semplicitá di cuore, che ricercava il bisogno di quel carico: percioché il primo giorno ch’egli si fosse posto ad esercitarlo, di necessitá si sarebbe gonfio d’ambizione, e in lui sarebbe entrato quell’ardentissimo desiderio d’ottener la medesima dignitá che avea conseguita il suo antecessore, che dall’animo suo, ancorché compostissimo, avrebbe cacciata quella semplicitá, che ai concionatori fa ragionar col cuore, non con la bocca: e che la necessitá dell’ambizione e la violenza del desiderio nasceva non da vizio, ma da quell’onorato zelo, che anco i piú mortificati filosofi di Parnaso hanno intensissimo della loro riputazione. Percioché quando in progresso di tempo da Sua Maestá non avesse ricevuti gli onori medesimi ch’erano stati fatti a Diogene, il mondo avrebbe giudicato il tutto accadere, non per sua umiltá, non perché egli di tutto cuore ai pubblici magistrati anteponesse la vita privata, la quiete a’ negozi, la povertá alle ricchezze: ma perché Sua Maestá in lui non avea trovati quei meriti, che avea conosciuti in Diogene. Di maniera tale che, con l’animo tanto commosso e alterato dalla violenza dell’ambizione, non gli dava il cuore, con speranza di far frutto, di predicar le lodi eccellentissime dell’umiltá, del disprezzo delle ricchezze, e della vanitá delle grandezze mondane; non essendo possibile che si trovi uomo alcuno di cosí efficace eloquenza, che sia sufficiente a persuader altrui quella sorte di vita, che gli ascoltanti conoscono essere abborrita da chi la predica.