Qual non inteso duolo
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Ode Pindarica in morte del Senator Filippo
Buonarroti Auditore della Giurisdizione di S.A.R., e celebre Antiquario
Musa vetat mori
La Musa parla
Qual non inteso duolo
nel petto or si raggira,
che la tremante lira
di sue corde sguarnisce,
5e alla canzone alata arresta il volo?
Forse perché Filippo
l’imperturbabil cuore
a morte rassegnò,
e le dolenti cure della vita
10ricco di gloria e d’immortale onore
venerabile vecchio abbandono?
So che di tutti voi,
malaccorti mortali,
il freddo orror, la spaventevol sorte,
15è che battono i dì rapide l’ali,
ma nel cuor degli eroi
soave dono di natura è morte.
Dunque dal sen profondo
scuoti il doglioso pianto,
20e ridente in giocondo
inno festeggi il canto.
Nelle sonanti sponde
del Tevere frondoso
l’afflitto Genio dell’antica Roma
25per lui dalle profonde
ruine alto si leva, ed ei gli scuote
la polverosa chioma;
quindi in bronzi spiranti
corrono a nuova vita
30i Cesari sepolti,
la corona di lauro inaridita
per lui di nuovo ombreggia
lor maestosi volti.
Vedi il gran Buonarroti
35romper le nubi oscure, ove nascosa
e fanatici e Goti
tenner la greca e la romana istoria,
e l’illustre memoria
di quei popoli invitti erger gloriosa
40la fronte luminosa:
miranla con stupore
il Franco, l’Alemanno,
il libero Britanno;
e vede Italia il suo perduto onore.
45Là dove a mille a mille
serpeggiando tra viti e verdi ulivi
Arno divide le toscane ville,
quale imperlato nembo
e d’etruschi e d’argivi
50tesori ei versa a te, Fiorenza, in grembo!
Cosmo suo re l’abbraccia, e difensore
il vuol del suo real placido impero,
ed ei calma il furore
del procelloso tempestar del clero.
55Così quando Eolo regnator de’ venti
lo speco suo disserra,
gli arrabbiati fratelli escon frementi,
e tra nembi e tempeste
vede Apennin selvoso
60svelte cadere l’alte sue foreste,
quindi si lancian di Nettunno ondoso
su’ vasti regni sollevando tutto
il pacifico flutto;
ma se Nettun dal cristallino letto
65alto si leva e scuopre
il riverito aspetto,
striscian paurosi pel ceruleo piano,
fuggono le tempeste, e ‘l ciel sereno
al calmato Oceàno indora il seno.
70Ma quale a me d’intorno
s’aprono auguste e liete
scene di maestà?
Questo è il sagro soggiorno,
ove nel grembo d’innocente quiete
75Filippo se ne sta.
Qui da perita animatrice mano
duri bronzi ammolliti,
qui da greco scalpel marmi addolciti
spiegan volto romano:
80con solenne silenzio e ciglio altero
in vago ordine stanno
gli alti sostegni del romano Impero,
numi, consoli, eroi,
Giulio il primo tiranno
85ed i crudeli successori suoi;
mentre in aria graziosa
di ben scolpite donne amabil schiera,
onde la tirannia già s’infiammò,
fanno mostra pomposa
90della bellezza altera
che quei superbi cuori incatenò.
Questo è il beato Eliso,
ove ei quieto e sereno
agli spirti più chiari e luminosi
95apre del suo bel cuore il paradiso,
ove agli spirti foschi e tenebrosi
versa nel cupo seno,
nell’adombrata mente
luce di cortesia dolceridente.
100Così con raggio uguale il sole indora
i marmorei palagi a’ re scettrati,
gli umili tetti a’ semplici pastori,
e mentre valli e prati
co’ suoi vivi colori
105vago dipinge e infiora,
egli crea le stagioni e l’anno adorna,
illumina i pianeti e ‘l cielo aggiorna.
A bastanza l’eroe tutto all’intorno
girò famoso della gloria il regno,
110ed a bastanza adorno
fecesi il mondo di sì ricco pegno;
ecco l’ultimo sol per lui si leva:
folle speranza e pallido timore
turbino il volgo insano, ei non paventa;
115anzi qual uom che stanco s’addormenta,
soavemente ei muore.
Ei muore, è ver; ma per luï non sono
fatti i sepolcri, né de’ mesti accenti
il doloroso lamentevol suono.
120Di lor natìa beltà liete e ridenti
le grandi azioni sue, l’eccelse prove
sorgono altere dalla tomba oscura,
ed Io, figlia di Giove,
le reco sopra l’immortal mio verso,
125l’ali distendo, e me ne vo a traverso
gli ignoti abissi dell’età futura.