Purchè scettro real sia la mercede
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XXXIII
AL SIG. GIAMBATTISTA CASTELLI
Giocondo essere lo stato degli uomini privati.
Purchè scettro real sia la mercede,
Nulla di strazio a sè nullo Uom perdona;
Quei tocca il ciel, se al popolo si crede,
Cui splende sulle tempie aurea corona.
5Ciascun le pompe, e i regj manti ammira,
Ciascuno all’ostro altier volge la vista;
Ma poi sotto quell’ostro alcun non mira
L’aspre punture, onde il Signor s’attrista.
Ah che per calle di miserie estreme
10Infortunata passa alta ventura,
E di ferro, e di tosco insidia teme,
Mentre fortuna umil sen va sicura.
Che temi tu, che in solitaria parte
Tempri con dotta man varj colori,
15E col diletto della nobil’arte
Sì te medesmo, e la Liguria onori?
Tratte da meraviglia a te veloci
Corrono ognor le peregrine genti,
E le liete accoglienze, e le lor voci
20Sono il ferro, e ’l venen, di che paventi.
La cara e dolce famigliuola intanto
Ora sorrisi, ora vagiti alterna,
Cui la memoria del paterno vanto
Sarà retaggio di ricchezza eterna.
25Requie sì cara e sì soave or come
Qualunque Imperio non avrà secondo?
Odi, Castel, certo n’inganna il nome:
Servi, o Signor, siam peregrini al Mondo.