Protesta del popolo delle Due Sicilie/Capo VIII

Capo VIII

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CAPO OTTAVO


GRAZIA E GIUSTIZIA.


Grazie se ne fan quasi ogni anno, sol quando il cannone ci annunzia che è cresciuto il numero de’ nostri padroni, o dei figliuoli del Re; e si fanno a’ carcerati per omicidio, per stupri, ed altri delitti di simil fatta, che i ribaldi debbono godere, i buoni gemerne, e spendere per mostrar segni di allegrezza bugiarda. Da ogni grazia [p. 51 modifica]sono sempre esclusi i condannati per delitto di Stato, e per resistenza alla forza pubblica.

Giustizia se ne fa raramente: giustizia è il volere della Polizia, la quale fa creare magistrati coloro che hanno più meritato facendo le spie; ed a questi giudici presenta gli uomini a spogliare a scannare. I pochi magistrati buoni e dotti son tenuti d’occhio ed avviliti: i molti malvagi ed ignoranti son baldanzosi e crudeli. La turba degli avvocati è costretta a confidar solo nell’intrigo; e difendono le cause con certe nuove memorie di difesa, che son brevissime lettere scritte ai giudici o da Monsignore o dal Ministro di Polizia, o da qualche altro grosso birbone.

Il buon Ministro comanda che si faccia un esame stranamente rigoroso per i giudici regi, e destina a decidere del merito dei tremanti giovani certi ignoranti e sonnacchiosi magistrati: tra quali è Michele Agresti, fanciullo con la chioma canuta, tenero dei francesi, e più pazzo e più inetto di un pazzo ed inetto francese, e con tutto questo, Procurator Generale della suprema Corte di Giustizia, tutore e difensor delle leggi. E mentre valorosi giovani confidando pur nell’ingegno son riprovati, altri senz’esame, a venti anni, son fatti giudici per volere del Ministro di Polizia. Il quale quando vuole punire qualche Commessario che non è secondo il suo cuore, lo manda a seder tra magistrati: e vi manderebbe ancora i gendarmi, che egli chiama magistrati armati se non sapesse che le leggi stanno meglio tra le funi e le manette, che nei tribunali e nei giudizii.