Prose della volgar lingua/Libro terzo/XXXIX

Terzo libro – capitolo XXXIX

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Possono dopo queste seguitar le voci che, quando altri commanda e ordina che che sia, si dicono per colui; le quali non sono altre che due in tutti i verbi, e queste sono la seconda del numero del meno e la seconda medesima del numero del piú, con ciò sia cosa che commandare a chi presente non è, propriamente non si può, e a’ presenti altre voci non si danno, per chi ordina, che queste. Ora queste due voci ordinanti e commandanti, come io dico, nel tempo che corre mentre l’uom parla, sono quelle medesime, che noi poco fa veramente seconde dicemmo essere di tutti i verbi; fuori solamente quella, che seconda è del numero del meno della prima maniera, la quale in questo modo di ragionari non nella I ma nella A termina, l’una nell’altra vocale tramutando cosí: Ama Porta Vola. E aviene ancora che in alcuni verbi di questa maniera non si muta la I nella A, come io dico, ma solamente si leva via; ne’ quali nondimeno la A vi rimane, che vi sta naturalmente, Fa Dà e simili. Sapere tuttavia fuori si sta di questa regola, che ha Sappi, e Avere che fa Abbi, tolte per aventura da altra guisa di voci e poste in questa, e Sofferire altresí che ha Soffera e Soffra, che talora s’è detta nel verso. Levasi di queste voci alle volte la I, che necessariamente vi sta, e dicesi Vien Sostien Pon Muor, in vece di Vieni e Sostieni e Poni e Muori, il che si fa non solo nel verso, ma ancora nelle prose. Co’ e Racco’, che da’ presenti nostri uomini, in vece di Cogli e Raccogli, per abbreviamento si dicono, e Te’ in vece di Togli, che pare ancora piú nuovo, e dicesi nella guisa che si dice Ve’ in vece di Vedi, è nondimeno uso antico. Leggesi in Dante, che disse:

Dimandal tu, che piú te li avicini,
e dolcemente, sí che parli, accolo,

in vece di dire Accoglilo, cioè Raccoglilo e Ricevilo; e nel Boccaccio, che disse nelle novelle: Te’, fa compiutamente quello che il tuo e mio signore t’ha imposto; e nel suo Filocolo: Te’ la presente lettera, la quale è secretissima guardiana delle mie doglie; che To’ piú gravemente disse il Petrarca:

To’ di me quel che tu pòi:

in vece di Togli. È, oltre a questo, che si piglia la prima voce di quelle che senza termine si dicono, e dassi a questa seconda voce del numero del meno, ogni volta che la particella, con cui si niega, le si pon davanti: Non far cosí, Non dire in quel modo, e come disse il Boccaccio, Or non far vista di maravigliarti, né perder parole in negarlo. Nel tempo poi, che a venire è, sono le dette due voci quelle medesime, delle quali dicemmo, Amerai Amerete, le quali questo modo di ragionare piglia da quello, senza mutazione alcuna farvi. Chi poi eziandio volesse le terze voci formare e giugnere a queste, sí potrebbe egli farlo, da quelli due modi di ragionare pigliandole, dell’uno de’ quali si ragiona tuttavia, dell’altro si ragionerà poi.