Prose della volgar lingua/Libro terzo/XI
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Altri articoli che del maschio e della femina la volgar lingua non si vede avere. Di questi articoli quello del maschio, nel numero del piú e nel verso, assai si lascia sovente nella penna; ma nelle prose quasi per lo continuo; e gittasi o pure sottentra nella vocale che dinanzi gli sta, quando quelli, che voi, messer Federigo, diceste essere o proponimenti o segni di casi, si danno alle voci, e le voci incominciano da consonanti: A piè de’ colli cioè De i colli, De’ buoni A’ buoni Da’ buoni e ancora Ne’ miei danni Co’ miei figliuoli, in vece di dire De i buoni A i buoni Da i buoni Ne i miei danni Con i miei figliuoli; gittandosi tuttavia in questa voce non solamente la vocale dell’articolo, ma ancora la sua consonante, senza in altra cangiarla. Il che medesimamente in quest’altra particella si fa, di cui si disse, che si suole alle volte molto toscanamente dir cosí: Pel mio potere Pe’ fatti loro, ciò è Per lo mio potere e Per li fatti loro. E questo vi può essere a bastanza detto, messer Ercole, degli articoli; e de’ segni de’ casi vi potrà quest’altro, che al segno del secondo caso, quando alla voce non si dà l’articolo, qualunque ella si sia, diciate Di e cosí usiate continuo: Io ho disio di bene, Tu ti puoi credere uno di noi, Le donne sono use di piagnere; quando e’ si dà l’articolo o conviene che si dia, diciate sempre De, e altramente non mai: Del pubblico, Della città, Degli abitanti, Delle castella, Del vivere, Del morire; e ancora De’ malvagi, De’ rei; il che si fa per abbreviamento di queste voci, De i malvagi, De i rei, levandone l’una vocale, che vi sta oziosamente. Oltra che alcuna volta eziandio il segno medesimo si leva via di questo secondo caso; sí come levò il Boccaccio, il quale nelle sue prose disse: Al colei grido, Per lo colui consiglio, Per lo costoro amore, e altre; e Dante che nelle sue canzoni fe’:
Che ’l tuo valor, per la costei beltate,
mi fa sentir nel cor troppa gravezza;
e il Petrarca, che disse medesimamente nelle sue:
Il manco piede
giovinetto pos’io nel costui regno.
Il che s’usa di fare con questa voce Altrui assai sovente: Nell’altrui forza, Nelle altrui contrade; ma molto piú con quest’altre due, Cui e Loro, che con alcuna altra: Il cui valore, I cui amori, Onde fosti e cui figliuolo, Del padre loro, Alle lor donne, Co’ loro amici. Quantunque non solamente in queste voci, che in luogo di nomi si pongono, Colui Costui Loro Coloro Cui Altrui e somiglianti, è ita innanzi questa usanza di levar loro il segno del secondo caso; ma eziandio ne’ nomi medesimi alcuna fiata; sí come si pare in queste parole del Boccaccio: A casa le buone femine, In casa questi usurai, in luogo di dire: A casa delle buone femmine, e di questi usurai; e Non che la Dio mercé ancora non mi bisogna cosí fare, e altrove: Poco prezzo mi parrebbe la mia vita a dover dare, per la metà diletto di quello che con Guiscardo ebbe Gismonda, in vece di dire: La mercé di Dio, e la metà di diletto; e come ora, ne’ nostri ragionamenti, tutto dí si vede che diciamo. Né pure il segno solo del secondo caso si toglie sovente a quella voce Loro, come io dissi; ma quello del terzo ancora: Diede lor credere, Fece lor bene; e a quell’altra Altrui: Io stimo, che egli sia gran senno a pigliarsi del bene, quando Domeneddio ne manda altrui; della qual licenza e uso tutte le rime si veggono e tutte le prose ripiene.