<dc:title> Primo vere </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Gabriele D'Annunzio</dc:creator><dc:date>1880</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation></dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Primo_vere/Idillii_selvaggi/Nuvoloni&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20160520193329</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Primo_vere/Idillii_selvaggi/Nuvoloni&oldid=-20160520193329
C’eravam dilungati pe’ campi già rasi, portando
via tra file lunghissime
di biche a la canicola i nostri selvatici amori
e i latrati di Stelvio,
5ne ’l crine rosolacci sanguigni e pagliuzze portando,
ne ’l vivo cuore fervidi
inni a l’ariste flave. Da l’aie lontane veniva
il ritmo de le trebbie
per l’aure, e a buffi il canto de’ villici lungo sereno 10veniva. Da ’l purissimo
turchino rifulgeva estuoso il gran sole d’agosto,
e tutte aveano fremiti
le cose ne l’amplesso de ’l nume. Quand’ecco improvvise
nuvole a furia surgono 15su da ’l mare agitate da turbini d’Austro, sembianti
a paurosi eserciti
di mostri in guerra, e salgono ratte ne ’l limpido cielo,
e s’aggruppan, s’infoscano
bieche, ingrossan vittrici con orride forme ognor nuove, 20s’aprono, si rabbracciano,
lottano, invan sferzate da sprazzi roventi di sole.
Gli alberi intorno svettano,
verdi atleti, con sibili acuti; per l’aëre un rombo
cupo roco prolungasi;
25e da’ nuvoli rotti giù a fiotti la pioggia scrosciando
su le stoppie precipita
obliqua. Alti a ’l muggito de ’l nembo mesceva i latrati
via a gran corsa Stelvio;
ed io, te su le braccia tenendo che pazza ridevi, 30ed io volava a un giovine
querceto poco lungi con ampia canzone di guerra
ad Austro l’invincibile
possa aprente de’ rami; e vi giunsi… Su’ poggi de ’l fondo
tra le nuvole candide 35rideva il cielo un cupo sorriso turchin di trionfo,
ed il sol tra la pioggia
occhiate auree ferìa, e da ’l plumbeo manto squarciato
sorrisi altri raggiavano,
e brividi avea novi la terra, e d’un’iride gli archi 40versicolori apparvero
superbamente in festa a l’olimpica gloria di Febo.
Tu, il crin stillante, o Nemesi,
giù pe’ gli omeri sciolto, succinta la veste, guardavi
per l’alto a le nubi ultime
45in fuga: io te guardava, te simile ad Ebe, ed un canto
ne ’l cuor baldo fioriami
mentre innanzi volavan, indocili a ’l ritmo, leggiadri
fantasmi. Il ciel più cerulo
e fresco sorridea; più verdi plaudivano i colli 50da ’l fondo a noi tra l’umide
biche portanti gl’inni selvatici di giovinezza
e i latrati di Stelvio.