Primo maggio/Parte settima/II
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Riaprendo gli occhi lentamente, dopo un’ora di sonno agitato dalla febbre, Alberto li girò per la camera, di cui una parte sola era debolmente rischiarata da un lume posato sul pavimento, accanto al tavolino da notte, vicino alla finestra; e credette d’esser solo. Ma, fissando meglio lo sguardo nella parte buia, vide, in fondo, sedute, due ombre immobili. Sul primo momento non raccapezzò chi fossero. Una grande confusione era nella sua mente. La prima cosa che gli si presentò viva al pensiero, fu la sensazione come d’un violento colpo di bastone ricevuto nel braccio destro quasi nel momento stesso ch’egli aveva sparato il suo colpo, mirando al capo di Geri, dietro al quale vedeva il muro d’un giardino, e al di sopra di questo, ritta nell’aria, lontana, la guglia della mole Antonelliana. Da questo ricordo netto, egli si fece indietro, e, richiudendo gli occhi, ritrovò ad una ad una, a stento e non tutte chiaramente, le vicende e le sensazioni di quei due giorni. Prima la notte tremenda passata dopo l’affronto, lacerato dalla rabbia e dal desiderio d’uccidere, dal proposito di schiaffeggiare, provocar gli altri, di vendicarsi su tutti, a costo di lasciarci la vita. Poi quella eterna giornata del lunedì spesa in interminabili abboccamenti tra i padrini dissenzienti sulla scelta delle armi, e il pericolo, corso un momento, d’un altro duello, per l’impetuosità del suo secondo, uno dei giovani focosi della Quistione sociale che faceva entrare il socialismo anche in una questione d’onore. Poi la visita del suo povero padre la mattina, a cui non era riuscito a nascondere il suo stato d’animo. Poi quella interminabile gita in carrozza alla Madonna del Dolore, nella villa d’uno degli antichi amici del Circolo. E una voce gli risonò distinta all’orecchio: - È mancato poco che manteneste la parola! - la voce del suo secondo, che, mentre il medico faceva l’esame del braccio insanguinato, gli diceva che l’avversario aveva avuto la tempia rasentata dalla palla, che gli aveva portato via un frammento di pelle capelluta, lasciandogli una chierica laterale. Poi aveva fatto un tratto di cammino sull’erba sentendosi due mani vigorose sotto le ascelle. E qui aveva una ricordanza lucidissima: aveva sentito la vergogna del duello, il ridicolo odioso e miserabile di due signori che vanno a spararsi, dopo due giorni di discussione, in compagnia di quattro amici e d’un medico, davanti al sorriso tra di compassione e di canzonatura con cui erano stati guardati tutti e sette da un gruppo di muratori schierati lungo la strada, dove li aspettavano le carrozze: egli si ricordava bene d’aver arrossito. Dopo, un’altra interminabile gita in carrozza, dove aveva chiuso gli occhi, come preso da una mortale stanchezza. E allora il suo pensiero s’era slanciato con infinito affetto verso sua moglie, ricordando quelle sante parole della Zara, e con una profonda tenerezza verso il ragazzo, che non sarebbero stati al capezzale ad assisterlo, di cui non avrebbe inteso la voce durante la sua convalescenza, da cui forse, quell’avvenimento, per l’ira di suo suocero, l’avrebbe separato anche più profondamente di prima. Ma un nobile pensiero, una rivolta dell’orgoglio l’aveva scosso, e s’era fatto promettere dal Cambiasi di non scrivere a sua moglie l’accaduto, non volendo far sospettare che egli invocasse la sua pietà, volendo che, se un giorno ella dovesse venire a lui, ci venisse spontaneamente, come una moglie persuasa e mutata, non come infermiera compassionevole; per ricominciare poi la lotta sciagurata appena egli avesse riacquistato le forze per ricominciare a soffrire. E il Cambiasi aveva francamente promesso. Di qui cominciava una lacuna nebbiosa, in cui non vedeva di distinto che il momento in cui l’avevano messo a letto, con molte precauzioni. Era svenuto? Aveva dormito?... Le ricordanze, erano confuse, non cominciavano che a qualche ora dopo. Quello che si ricordava bene era il dolore acuto fattogli dal medico con l’estrazione della palla, mentre molti si muovevano per la camera, il senso della stretta fasciatura, l’odore d’aceto forte d’una boccetta datagli a fiutare. Poi, come ad un tratto, come se fosse sorta dal pavimento, s’era visto accanto al letto una figura alta e rigida, rimontando la quale con lo sguardo velato, aveva riconosciuto il viso marmoreo del Rateri, un viso non d’amico, ma di capo-partito, venuto, non per affetto, ma per dovere, a visitare un soldato della causa ferito. E poi, altre figure erano venute. Ma di chi? Gli era parso di vedere la faccia impietosita e atterrita del suo buon vecchio Preside, che scrollava la testa, e gli occhi azzurri d’un suo collega, professore di fisica. Ma non ne era sicuro. Di certo, però, era di Maria Zara una mano leggiera che s’era posata sulla sua fronte, mentre una figura nera di donna si curvava sopra di lui in atto di grande premura; e si ricordava d’aver provato un senso di stupore vedendo quella signora senza cappellino, come una persona di casa. E dopo... un pezzo dopo, un uomo l’aveva baciato in fronte, e poi s’era allontanato in fretta, in punta di piedi: egli aveva sentito un odor di pipa: gli pareva che dovesse essere il Barra. - Ed ora -, si domandò, riaprendo gli occhi -- chi sono quelle due ombre?
Mentre diceva questo, una delle due ombre s’alzò, e s’avvicinò a lui, lentamente. Egli riconobbe Cambiasi. Questi andò alla finestra, ch’era vicina al capo del letto, e guardò nella strada. Poi venne a lui.
Alberto gli prese una mano, con la sua sinistra e gli domandò sottovoce, ma con energia, se avesse mantenuto la promessa.
- Sta quieto - rispose - l’ho mantenuta. Ma a che serve? Domani lo saprà, e verrà.
Alberto scrollò il capo, con un sorriso amaro - Oh non verrà... quando saprà che non ebbi che una palla nel braccio. Essa sarà più addolorata dello scandalo che della ferita. Il mio duello è un sicuro disonore per suo padre, che non la lascerà muovere; e non avrà da far gran forza a ottenerlo.
- Tu non sai quanto è legata a suo padre... e alle sue idee.
- Meno di quello che credi, Alberto - disse Cambiasi.
- Ah! tu non la conosci... tu non sai che cos’è una donna borghese urtata, ferita nell’orgoglio della sua classe, che vede il marito sposar la causa... della canaglia, e mescolarsi con essa. Essa non può mutarsi il sangue. Dovessimo viver tutta la vita separati, non recederà da una delle sue idee, che per lei sono una cosa sola con l’onestà e con l’amore. Non verrà.
- Eppure - rispose Cambiasi - tendendo l’orecchio alla finestra - tu t’inganni. Lottando, quando tu eri in casa, essa non aveva tempo a pensare; - ora, sola, deve aver pensato, - penserà. Ha cuore e buon senso. A poco a poco, la tua assenza, la tua costanza, la moveranno. Essa disobbedirà suo padre, e verrà.
E dicendo questo, s’affacciò alla finestra.
- Ah! no - disse Alberto -, ho troppo profondamente offeso suo padre. Ed essa è più figliuola che moglie. È sempre stata la sua colpa. È capace di un’intera vita virtuosa, non d’uno slancio audace di bontà. Oh! io la conosco. Non parliamone più.
- Oh uomo di poca fede! - gli disse vivamente il Cambiasi, poggiando il lume sul tavolino, e mettendogli una mano sulla fronte -, io ti ripeto che verrà!
- È impossibile! - rispose Alberto.
- Oh uomo di poca fede! - gridò Cambiasi - Eccola qui! L’uscio si spalancò, e Giulia irruppe, gettando un grido, e Alberto non vide il suo viso rischiarato che per un baleno. Ma quel viso annunziava qualcosa di più che la pietà della moglie - un’altra idea vi splendeva - il raggio d’una coscienza nuova - la coscienza di portare una consolazione più grande della sua presenza, una forza più potente del suo bacio. Un momento essa s’arrestò accanto al letto, con un singhiozzo, interrogando premurosamente con gli occhi Alberto e Cambiasi sulla gravità della ferita; - ma visto il sorriso e il braccio teso del marito, si gettò sul suo petto perdutamente, singhiozzandogli mille parole d’amore, di pietà, di gioia - interrogandolo e baciandolo - soffocata e convulsa. Un momento s’arrestò, come colpita, udendo il nome di Geri -, ma subito riprese la sua espressione, mettendo il capo del ragazzo sul cuore d’Alberto, che li strinse tutti e due.
Ma nell’atto che li cingeva, egli vide l’altra delle due ombre, in fondo, avvicinarsi all’uscio, come per uscire inosservata. Egli riconobbe Maria Zara, velata. Un momento pensò di lasciarla uscire, sapendo il concetto che n’aveva sua moglie, ma gli parve un atto d’ingratitudine e di viltà senza scusa.
- Signora! -, disse - rimanga.
La Zara si arrestò.
Sua moglie s’era alzata e voltata.
- Giulia -, disse Alberto, - la signora Maria Zara.
Istintivamente, Giulia fece un atto di repulsione, rapidissimo, ma violento, che quella notò. E stettero un momento guardandosi a vicenda.
Poi la Zara fece due passi avanti, e sotto il raggio diretto del lume, lentamente, alzò il fitto velo, e scoperse il suo viso pallido, fissando in volto alla signora uno sguardo profondo, pieno di dolcezza e di tristezza infinita.
Giulia dilatò gli occhi a grado a grado, come chi si sveglia in un luogo sconosciuto, e Alberto vide come salire lentamente su dal suo petto ansante un grido che proruppe un momento dopo, lungo e delirante come di chi vedesse la resurrezione d’una persona morta: - Angiola Lariani!
E gettando un altro grido convulso che sprigionava dieci anni di memorie e domandava perdono, si avventò fra le sue braccia singhiozzando: - Oh Angiola! mia Angiola! Mia povera Angiola! - e rimase avviticchiata al suo collo, come una bambina alla madre.