Primo maggio/Parte sesta/I

Parte sesta - I

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Parte sesta Parte sesta - II

La Società dei Commessi era in una strada stretta e serpeggiante del centro di Torino. Salirono per una scala bassa e umida, ed entrarono per una porta al secondo piano, sopra la quale era appesa una lanterna a petrolio. Appena entrati nell’anticamera nuda, dove vari operai con l’organizzatore li aspettavano, Alberto sentì un frastuono confuso di voci rudi, alte e basse, come d’un mercato: il teatro era già pieno, rigurgitava; l’organizzatore, radiante, diede ottime notizie: c’era una ventina d’anarchici, ma ottimamente disposti; una febbrile aspettazione di tutti, un uditorio "epurato" voleva dire che non c’erano spie - poteva dir quello che voleva: tutto quello che promette una di quelle serate che "fanno epoca" nella storia del partito. Attraversarono due o tre stanzoni nudi, - Alberto fu fatto entrare solo per una porticina -, passò fra due quinte, e si trovò sul palcoscenico davanti a un mezzo tavolino, in faccia alla folla, pigiata in una sala stretta e lunghissima, dove risonò qualche applauso, soffocato subito dalla parola: - Silenzio. -

Un uditorio è come una grande faccia umana, di cui nessuna anche leggierissima espressione sfugge nemmeno al primo sguardo. Su quella faccia egli vide alla prima occhiata una ruga ostile. In fondo, dove mancavan le panche, v’era una doppia schiera, addossata al muro, di uomini in piedi, - due file di faccie risolute, uno scintillamento di pupille ardite e fisse, - fra cui ravvisò subito, ritto nel mezzo, la testa alta del Baldieri, piantato là come un capo banda, il cui sguardo lampeggiante s’incrociò col suo. Era il drappello degli anarchici. Gli altri eran parte seduti, parte ritti, serrati contro le due lunghe pareti. Uno di più non ci sarebbe entrato. Erano operai d’ogni mestiere, la più parte giovani, pochi maturi, quattro o cinque teste grigie; alcuni pulitamente vestiti; i più rozzamente, qualcuno quasi cencioso, coi mantelli sulle spalle, con le cravatte in disordine; capigliature ispide e arruffate come le idee che ci ribollivano sotto; baffi irsuti sotto cui sparivan le bocche dei visi accesi di curiosità, altri stanchi e sonnolenti, d’operai che erano stati tirati quasi a forza, e che parevan già pentiti d’esser venuti; qualche altro sorridente, con un’espressione di simpatia; alcuni avevano un sorriso quasi tra la pietà e la canzonatura; non pochi d’una assoluta indifferenza, come venuti con la certezza di non intender nulla. Ritto a destra del palco scenico vide il Barra con le braccia incrociate, e l’organizzatore, col viso beato, in mezzo a vari altri visi giovanili di sua conoscenza, su cui c’era l’espressione soddisfatta di amici, riusciti nel loro intento. Nell’aria calda, e come velata, errava un vago odor di pipa, di scarpe umide, e di bevande alcooliche, che si sentivano come a zaffate, fra il puzzo acuto del petrolio. Sul soffitto si sentivan dei passi pesanti e cadenzati, e or sì or no delle note di pianoforte: era una famiglia in cui si ballava.

Al momento di dir la prima parola fu come sopraffatto dalla coscienza che quello doveva essere un passo decisivo nella sua vita, e vivo, impetuoso quasi, gli si levò nell’animo il presentimento di qualche cosa di tragico che l’aspettasse all’orizzonte. Egli guardò un momento la ribalta di quel piccolo palco, e fu preso da un senso istantaneo di vertigine, come se fosse stato l’orlo d’un abisso - un pensiero affettuoso e tristo per i suoi gli passò la mente come un baleno. Ma non fu che un baleno.

Egli cominciò. Come epigrafe al suo discorso ripeté un periodo d’un socialista francese, premettendo che eran parole dure, ma giuste... Certamente l’opera è lunga, faticosa, irta di difficoltà; ma se gli operai non giungono a intendersi fra di loro, se non riescono ad unirsi in uno spirito di larga e forte solidarietà, se passano il loro tempo a lacerarsi l’un l’altro parodiando i borghesi nelle loro vane dispute -, se si divertono a giocare alle piccole consorterie, e alle piccole chiesuole - se sopra tutto non si disfanno di quello spirito di gelosia che li divora e che fa che non possano sopportare fra di essi alcuna superiorità intellettuale - se non si eleggono capi che per obbligarli a obbedire ai loro voleri - se non innalzano idoli popolari che per darsi il piacere di rovesciarli, se, infine, non sanno governare a se stessi, - la situazione presente s’eternerà, e diventerà peggiore, perché essi saranno, per le loro decisioni, più deboli e meno stimati di prima. - Egli commentò queste parole. La parola gli usciva facile, con una intonazione giusta di convinzione e di benevolenza. Non un accento andava perduto. Un grande silenzio regnava. - Non saprete voi - disse continuando - fare per la grande causa sociale i sacrifizi dell’orgoglio, delle avversioni personali e settarie e anche delle idee che fece la borghesia per la causa nazionale? Quando s’accorse che la divisione non la conduceva che a disastri, essa s’unì, accettò anche dei programmi e si sottomise a dei capi che le ripugnavano, e fece in un giorno di concordia quello che non era riuscita in tant’anni d’agitazione e di sacrifizi!

A questo punto una voce grossa e scura risonò nettamente in fondo alla sala: - Lasci il patriottismo! - E subito dopo una voce più bassa, aspra: - Porti questo alla cattedra!

Uno scoppio di voci rispose da vicino al palco: - Silenzio! - Siete stati ammessi come uditori, non come contraddittori! - Non cominciate il solito gioco: non ve lo lasceremo fare! - Alla porta!

Gli altri risposero; uno scambio di grida si prolungò. Alberto diede uno sguardo all’organizzatore, come per dirgli: - È questo il rispetto che m’avevate garantito! - Quello fece un atto desolato. Infine, egli vide il Baldieri far cenno ai suoi che tacessero - il gridio si mutò in un brontolamento - poi si rifece il silenzio, - ma un silenzio in cui si sentivano correre dei fremiti.

Bianchini riprese, rivolto agli anarchici: - Non son venuto qui con la presunzione di persuadere chi ha idee radicalmente diverse. Lasciatemi dire soltanto che quando vedo scoppiar di questi dissensi fra voi, penso con dolore alla gioia che proverebbero i vostri nemici comuni se vi vedessero; penso che questi dissensi sono tre quarti delle loro forze; e non mi so capacitare come si divida al principio della strada della gente che, pure avendo idee diverse, può far tanta parte di strada insieme; come vi dividiate per dare una battaglia che non potreste vincere ancora nemmeno uniti; come ci possano esser degli odi fra gente che ha gli stessi dolori, gli stessi nemici, gli stessi ostacoli da superare!

Un riso sonò in fondo, come a un’ingenuità, e poi un mormorio; ma nessuna risposta distinta. Egli poté continuare.

Egli prese a dimostrare il perché in Italia si richiedessero pel socialismo maggior sforzo di concordia, una più vigorosa azione di propaganda che altrove, dove le grandi industrie agglomeravano gli operai in grandi masse in cui l’affiatamento e l’ordinamento viene quasi spontaneo, dove le grandi crisi, che qui non si danno, facendo sentire più largamente e profondamente i danni del sistema sociale presente, alimentano l’idea sociale. Qui la piccola industria resiste, gli operai divisi in piccoli gruppi, molti operai solitari. Qui abbiamo l’impoverimento senza lo sfruttamento organizzatore prodotto altrove dai grandi accentramenti del capitale. Quindi un proletariato sbandato, disordinato, avvilito. Quindi doppio e doppiamente difficile lavoro da fare. Quindi doppiamente necessario, per i socialisti, di non dividersi sulle idee secondarie - di non imporre l’assolutismo d’un solo programma pratico - di lasciar gli uni agli altri libertà di procedimenti - di organizzarsi sotto la bandiera dell’idea generale - ora con le vostre divisioni si organizzano migliaia di drappelli - non si organizza un esercito - e fin che non sarete un esercito, non sarete nulla!

Una voce d’in fondo scoppiò: - Volete organizzare per aver dei voti!

Bianchini saltò su: - Io non v’ho mai chiesto, non vi chiederò mai un voto!

Altre voci innalzarono: - Così dicon tutti cominciando! - chi vuol irreggimentare, vuol comandare!

- Voi insultate! - gridò il Barra, volto verso il fondo.

- Va a tradurre i bilanci per i Signori! - gli rispose il Baldieri. Una disputa violenta s’impegnò. Dall’una e dall’altra parte visi accesi e pugni branditi. E davanti a quell’ira, in cui si sentivano venire a galla antichi rancori e odi personali, il Bianchini ebbe un senso istantaneo di scoraggiamento immenso, - l’idea dell’inutilità d’ogni cosa davanti alla forza enorme irragionevole delle passioni umane. Le apostrofi violente non si scambiavano che fra gli anarchici compatti e una ventina di giovani socialisti ritti contro le pareti laterali - la massa non faceva che agitarsi, voltandosi verso gli uni e verso gli altri, come se non capisse bene, o stentasse ad uscire dal suo intorpidimento. In mezzo allo scambio generale delle invettive, il Baldieri e il Barra si apostrofavano direttamente, come facendo un duello a parte, frementi tutti e due; ed egli notò nel viso pallido di Barra una fissità marmorea, un’espressione di risolutezza e di coraggio, che gli tramutavano affatto la fisionomia. Egli raccoglieva a volo delle ingiurie evidentemente prese da giornali e da opuscoli. - Reazionari mascherati! - si gridava agli anarchici - Voi siete i servitori dei borghesi! - Siete voi che fate gl’interessi della borghesia, standovi attaccati come la catena ai piedi! - Agenti elettorali a un tanto il voto! - Alla porta! Alla porta voi! - E lo sguardo di Bianchini errando sulla massa, vedeva dei volti di giovani socialisti indignati per lui - guardarlo con aria di compatimento - alcuni veramente afflitti. La massa cominciava ad accendersi, propendendo verso il Barra. In un banco di operai attempati, uno dormiva. Fra questi, con sua sorpresa, il Bianchini vide il viso del Peroni, immobile e grave. Finalmente, adoperandosi i più maturi, intorno a Barra e al suo gruppo - e gli ultimi presso gli anarchici, facendo abbassar di forza le braccia tese, palpando le spalle, turando persino le bocche con le mani, riuscirono a ridurre la tempesta a un’agitazione in cui si poteva di nuovo udire la voce dell’oratore.

Alberto, riuscendo con un grande sforzo a ricondur la calma, riprese: esaminò successivamente le varie ragioni dei dissensi fra operai socialisti, dimostrandone la inanità, e venne infine a combattere anche il dissenso che separava i "legalitari" dai "rivoluzionari". Anche questa divisione proveniva da un malinteso. Poiché né i legalitari potevano escludere in modo assoluto l’azione rivoluzionaria, che aveva fatto trionfare tutte le più grandi cause, e che, a un dato momento, s’impone come una necessità ineluttabile, ed era logica quanto lo era stata la guerra per far le unità nazionali. Né i rivoluzionari potevano volere l’azione rivoluzionaria prima che fossero maturi i tempi. Si poteva essere per l’evoluzione e la rivoluzione ad un tempo - la rivoluzione non è che un punto dell’evoluzione - la levatrice, come aveva detto Marx, d’una riforma sociale già pronta. - Voi, - disse ai rivoluzionari - che citate la rivoluzione francese, dovete ricordare che, quando scoppiò, c’era pronto il terzo stato a sottentrare agli altri, che sapeva già far da sé, era la classe che già forniva allo stato gli uomini pratici e specialisti di ogni specie e grado, intendenti, impiegati di ministeri, scrittori, avvocati, banchieri, commercianti. È ora preparato in egual modo il 4° stato, in Italia? È già a tal punto l’organizzazione operaia, con le sue società, le sue cooperative, i suoi sindacati, da sottentrare alla borghesia?

E d’altra parte, che vuol dire "volere" una rivoluzione? Se ne possono preparare le cause, le condizioni in cui scoppierà; ma non di più. Un’infinità di resistenze bisogna distruggerle prima, una a una. Essa non si può produrre come non si produce un terremoto. Essa deve uscire come il pulcino dall’uovo. Essa non può scoppiare che quando non ci sia bisogno di volerla, quando non sia più possibile il separarsi in chi la vuole e in chi non la vuole - essa scoppierà come una mina quando finisce di bruciare la miccia.

Una voce gridò in fondo: - La vostra miccia è troppo lunga!

Una risata approvativa degli anarchici le rispose.

- La vostra - rispose secco Bianchini - è più lunga assai che la nostra, perché darete mille scaramucce, senza riuscir mai a dare una battaglia.

I socialisti applaudirono.

E allora una voce brutale d’in fondo gridò: - Tutte ciancie per non rischiare la pelle.

A quell’insulto diretto, Bianchini s’alzò; all’accusa di viltà l’anima gli scattò come una molla d’acciaio, e con quel pallore speciale che anche l’occhio inesperto riconosce subito esser quello del coraggio, non della paura, dopo aver fatto tacere i suoi con un cenno, rispose, con una calma superba: - Ditemi qualunque altra cosa; io tollererò tutto; ma non del vigliacco - è la sola ingiuria che mi spezza l’anima, respingete la mano che vi tendo; assalitemi nella vita; ma non mi ferite nell’onore!

Un applauso lo salutò.

- E allora - gridò un anarchico - venga con noi il 1° Maggio! - Altre voci rincalzarono. - Al 1° Maggio, lo aspettiamo. - Si faccia vedere ai fatti. - Venga alla prova.

- Sì - rispose - ci verrò; ma per persuadervi a desistere, per mettere il mio cuore davanti alle vostre armi, e impedirvi di spargere inutilmente il sangue dei vostri compagni, e di rovinare la causa di tutti!

- Un altro applauso scoppiò, che irritò gli anarchici. Un coro di grida verso Barra e gli altri: - Silenzio alla claque! - Applaudono il commediante! - Non fate i buffoni! - I socialisti, esasperati, risposero con una tempesta d’ingiurie, sorgendo tutti in piedi. E allora seguì un tumulto indescrivibile, in cui le minacce reciproche di Barra e di Baldieri s’intesero fra l’urlìo come una successione di colpi di pistola. Gli anarchici e i più giovani dei socialisti tentavano di aprirsi un varco tra la calca per slanciarsi gli uni sugli altri. Un gruppo si gettò davanti al palco come per difendere il Bianchini. Delle coppie s’afferrarono, delle panche furono rovesciate, delle percosse corsero, delle provocazioni reciproche a uscire per finir la lite nella via. Non si vedevano più che visi pallidi o ardenti, pugni branditi per aria, sopra un violento ondeggiamento di teste e di spalle, di capigliature arruffate. Allora, il Bianchini ebbe una ispirazione - si gettò tra la folla, con l’animo d’andar dritto al Baldieri, e d’invocar da lui che rimettesse la pace. I più capirono, - si apersero - si vide la sua testa bionda fender la calca. Ma prima che arrivasse a lui, Baldieri indovinò il suo pensiero: per un momento, ritto come una statua fra la folla mescolata dei suoi, lo guardò avvicinarsi, coi suoi occhi fulminei, immobili, senza dar segno né di simpatia né d’avversione; poi, come per evitar d’incontrarsi viso a viso, si voltò verso i suoi, spingendoli colla voce e con le braccia d’acciaio verso la porta. Alcuni resistevano, ma i più cedettero, però continuando a risponder alle voci degli avversari. Uno a uno se n’andarono per l’uscio in fondo, seguiti anche da parecchi dei socialisti oscillanti, attratti da loro, soffermandosi ancora ciascuno sulla soglia a mostrare il pugno e a lanciare una minaccia. A poco a poco, il tumulto si quetò. Bianchini risalì sul palco. I restanti rialzarono le panche, si asciugarono il sudore, si passaron le mani sui ciuffi, soffiando, commentando con un concitato bisbiglio l’accaduto; e poi tacquero. L’organizzatore, - con un’aria di chieder scusa -, disse al Bianchini che poteva riprendere.

In fondo alla sala non era rimasto che il Baldieri, addossato al muro, - solitario - con le braccia incrociate sul petto. Era rimasto come minaccia se si fosse detto male per gli anarchici? Per mostrare che l’uscita dei suoi era stata una concessione, non una fuga? Per aspettare il Barra? I suoi occhi chiarissimi e fissi non dicevan nulla. Il fatto è che non interruppe più.

Bianchini ricominciò. Quello stesso urto d’ostilità che aveva sentito come un colpo di vento gagliardo sul viso, la coscienza d’essersi condotto bene, senza debolezza e senza spavalderia, e la certezza d’aver ora un uditorio tutto benevolo, - gli diedero un grande animo. Egli si diffuse a parlar con calore degli esempi mirabili di concordia che danno nelle loro organizzazioni gli operai belgi, inglesi e tedeschi, - le conosceva bene, ne parlò con calore - e notò con piacere che a questo discorso s’interessavan tutti, che un sentimento d’orgoglio riflesso veniva loro dalla descrizione della potenza, dell’istruzione, della vicinanza alla meta dei loro compagni lontani. Su fronti rimaste fin allora chiuse, apparve il chiarore dell’intelligenza; in occhi fino allora spenti, il raggio della simpatia per quelle masse operaie straniere che erano alla testa del grande esercito proletario del mondo, e insieme un sorriso di benevolenza per lui, in cui la sua gioventù, la sua bontà, il suo entusiasmo si riflettevano. Egli s’animò ancora, la sua voce diventò più calda, il suo viso si fece splendido, quando profetò la venuta alla classe operaia d’una gran parte della borghesia povera. Sì - verranno - professionisti liberi per cui non c’è più posto nella società, piccoli e medi proprietari in cui sarà morta la illusione antica nella piccola proprietà emancipatrice degli uomini, cacciati nel proletariato dal crescere continuo delle grandi fortune, giovani che a tutti i piaceri della loro condizione preferiranno quello che viene dal servire la verità e la giustizia. Molti vi son già, ogni dì ne verranno tra voi. Non diffidate di loro - accoglieteli fraternamente - pensando che molti conoscono la durezza della vita, le privazioni, le umiliazioni quanto voi e più di voi. Essi non verranno con secondi fini - li esperimenterete disinteressati, operosi, coraggiosi, generosi. Già cominciano a venire, molti son già con voi - per opera loro, la fusione delle classi è già cominciata - Noi non domandiamo nulla - non domandiamo altro che ci aiutate a sopportar serenamente i dolori e le persecuzioni a cui andiamo incontro, avendo fede in noi, volendoci bene. Ma no, nemmeno di questo hanno bisogno quelli a cui veramente ha preso tutta l’anima la grande Idea. Voi potete sospettarci, potete disconoscerci, respingerci, trattarci con durezza, e umiliarci: noi vi ameremo ancora, continueremo a lavorar per la causa, rimarremo ostinatamente fra le vostre file, sopportando tutto e sperando sempre, e raccomandando ai nostri figli di gettarsi fra i vostri come noi ci siamo gettati fra voi.

Alla fine delle parole, pochi applaudirono; ma quasi l’intera massa si mosse verso di lui con un vivo slancio di simpatia e salì sul palco. Alcuni rimasero in disparte, con ostentazione - due o tre eran usciti prima - scrollando le spalle - ma questi scomparivano sotto la cordialità commossa del maggior numero. Egli fu circondato, le sue mani prese, le sue braccia strette, affollato di parole benevole: egli vide da vicino gli occhi umidi, i sorrisi pieni di benevolenza, udì i commenti e i saluti che venivan dal cuore; e fu stupito di non provar nessuna compiacenza di orgoglio, come altre volte in occasioni simili, ma qualche cosa di profondo e di dolce che non aveva bisogno di nascondere, nuovo per lui, confusamente vide per aria le mani dell’organizzatore agitarsi in segno di trionfo, sentì per un momento una sua mano imprigionata in quella di Barra; e stentò molto a giungere, in mezzo a un frastuono di voci, fino alla porta. Molti insistettero per accompagnarlo a casa: egli rifiutò la compagnia di tutti - voleva esser solo coi suoi pensieri - Ma fino all’angolo di via Garibaldi fu accompagnato, dove udì l’ultima congratulazione dell’organizzatore; il quale, dopo essersi guardato attorno con circospezione come se da tutte le parti ci dovesse essere un agente della polizia, e un altro alle finestre delle case, come per dire: - Borghesi, siete fottuti! - gli disse piano nell’orecchio: - Ancora tre sere come questa, signor Bianchini, e Torino è nostra - E se n’andò fregandosi le mani.

Egli prese per la via, sotto la pioggia, solo. Anche il ricordo degli anarchici, in quella soddisfazione, gli si volgeva al bene. Sì, essi col tempo sarebbero stati attratti - quello che li teneva ostili era la lentezza dell’organizzazione socialista, che li faceva disperare di venir mai a una riuscita per la via legale - ma quando questa fosse stata potente, e quando in loro si fosse radicata la persuasione di non poter far nulla da soli, vi sarebbero entrati - e rimasti, come perpetuo stimolante. Le loro parole non gli dolevano più. Molto si doveva condonare alla natura. In fondo, essi rappresentavano una forza d’opposizione persistente e latente, che aveva radice nei più profondi strati del sentimento umano... E andava cercando nella mente che via di ragionamento, che tattica si dovesse seguire per attirarli in un’altra occasione, per evitar gli urti, per render possibile la discussione, quando - all’angolo di via del Senato - vide davanti a sé una schiena curva, che s’andava lentamente sotto la pioggia, e che gli parve di riconoscere. Fece quattro passi in fretta, e disse: - Peroni! -

Il muratore si voltò, toccandosi il cappello, e proseguirono insieme.

- Come mai c’eravate anche voi? - gli domandò Alberto.

L’aveva condotto un amico della Società dei Muratori. Aveva voluto sentire anche lui, come diceva, la "parlata". E non aggiunse altro.

- Ebbene, non vi par che abbia detto delle cose giuste?

Il Peroni scrollò il capo. Si capiva che quei discorsi, quei battibecchi, quelle idee gli avevan fatto l’impressione come d’una scena di manicomio. Egli rimaneva sempre cori quell’idea fissa della fatale immutabilità delle cose. Dopo aver un pezzo scrollato il capo, mormorò, come seguendo un filo di pensieri: - Tutte cose che vanno per i giovanotti, che han bisogno di sfogarsi... Domani mattina si sveglieranno tardi, e prenderanno la multa. Il mondo è com’è. - Egli lavorava a una fattoria, dove doveva trasportare dei materiali pesanti: non ci reggeva più: lo volevan licenziare. Quell’inverno non aveva nemmeno trovato lavoro alla fabbrica del gas. Quello era il "fondo della cosa". Tutto il resto...

- Dunque, - gli domandò Alberto davanti all’uscio - voi persistete a credere che sia tutto tempo perduto? e che io faccio male?

Quegli aperse la bocca per dare una risposta - ma la ritenne.

- Dite, dite pure francamente, quello che pensate, senza temere di farmi dispiacere.

- Lei - disse quello - come di ragione... lei non sa cosa farsi dei miei consigli... Ma quando uno ha gli anni... Ebbene, lei va incontro a dei grossi dispiaceri,... per la strada che s’è messo... Cosa vuole?... non se n’offenda... Ebbene mi fa pena.

E senz’aspettare la risposta, gli diede la buona notte e si perdette nel cortile oscuro.