Primo maggio/Parte quinta/VIII
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Una mattina del mese di febbraio, il Preside chiamò Alberto, e con atti di grande rammarico, gli mostrò una lettera del Provveditore che lo chiamava al suo ufficio. Da uno dei suoi allievi fedeli gli era stato bensì accennato in confuso della petizione; ma egli non aveva creduto che a tanto si potesse giungere. Indignato, strada facendo, preparò la sua difesa: non aveva ecceduto i limiti mai - non aveva espresso che idee sensate e sentimenti generosi - ma quand’anche avesse espresso apertamente idee socialiste, era nel suo diritto, pure di farlo, come aveva fatto, senza ispirar odi e passioni - e aveva in pronto nomi di socialisti noti professori in cattedre governative d’Italia, Inghilterra, Svizzera, Belgio, America. Ma quando si trovò davanti al Provveditore - un vecchio alto e asciutto - vide l’impossibilità di discutere. Egli era così in collera che gli tremavano le mani, in cui teneva il ricorso firmato da 15 padri d’alunni. Lo lesse con la voce che fremeva: era tutto un’alterazione della verità: c’era l’istigamento all’odio fra le classi, - la morale sovversiva - lo scalzamento dell’idea della famiglia - il dileggio delle istituzioni. - L’idea subito gli balenò che fosse tutto una trama del Geri - Ma è tutto una menzogna! - gridò, indignato. - Eh! So cos’è il socialismo - rispose - sui 130 arrestati per il 1° Maggio l’anno scorso c’erano la metà di condannati per reati comuni! - A quell’argomento il giovane si sentì venire il sangue al capo, e fu tentato un momento di dare una di quelle risposte che mandano all’aria l’impiego; ma si contenne, e con un atto sdegnoso afferrò il cappello. - È il 2° avvertimento - quegli disse - sarà l’ultimo: l’occhio del ministero è sopra di lei. - Poi gli domandò sull’uscio: - Che cosa mi risponde? Che cosa mi promette? - Egli si ricompose, e, pallido, rispose a bassa voce: - Prometto di fare il mio dovere, signor Provveditore - Ed uscì. Un riso amaro di scherno gli sonò nel petto, quando fu nella via. A questo punto s’era ancora! E poi gli sottentrò un’immensa compassione, e dopo un grande scoraggiamento a pensare alla forza gigantesca dei pregiudizi, della ignoranza, dell’insensibilità, con cui rimaneva da lottare... Da questi pensieri fu bruscamente scosso per le scale di casa sua trovandosi viso a viso col Geri che scendeva. Tutti e due si fermarono. Una nube nera si stese sugli occhi d’Alberto, e fece un moto con la mano; ma ebbe l’impressione improvvisa e netta d’un pugno che lo ritenne e d’una voce che gli disse all’orecchio: - Non ancora. - Si guardarono un momento, indovinandosi, e balenando dagli occhi, tutti e due con un leggierissimo sorriso tremolante in un angolo della bocca. Poi si toccarono tutti e due insieme il cappello e dissero tutti e due insieme freddamente: - Buon giorno - e proseguirono entrambi, con un labbro serrato a sangue fra i denti.
Il giorno dopo Bianchini padre e la Signora ebbero un rimescolo di sangue vedendo comparire in casa loro a ora insolita, con una faccia stravolta, il Commendatore. Egli aveva nello stesso tempo saputo della chiamata del Provveditore e visto l’annunzio d’una prossima conferenza d’Alberto agli operai nella Quistione sociale, di cui il Geri gli metteva sott’occhio, di tratto in tratto, gli articoli più temerari. Egli, senza volersi sedere - segno grave - fece poche parole, ma solenni e terribili, in cui essi sentirono fremere un sordo rancore anche contro di loro. Non "potendo oramai più parlare" direttamente col genero, si rivolgeva a loro, per un "ultimo tentativo", perché lo arrestassero, in qualunque modo, sulla china della rovina e del disonore dove precipitava. In caso diverso, o la figliuola sarebbe tornata a casa, o egli l’avrebbe rotta anche con essa, e lasciata la famiglia ai suoi mezzi. E rotta a mezzo l’onda di parole umili, paurose, affannate, dolorose, con cui essi tentarono di rispondergli, se n’andò con un saluto freddo e un passo risoluto.
I coniugi si abbandonarono a esclamazioni, si consultavano, litigarono, smarriti, balbettanti, ansimanti, e poi salirono insieme dal figliuolo.
Era solo in casa, assorto nei suoi pensieri.
Al primo veder la faccia risoluta di sua madre, il viso impaurito e triste di suo padre, indovinò in confuso lo scopo della visita.
Prese la parola la mamma col piglio energico di chi è sicuro del fatto suo, e accennando la visita del suocero, fin da principio si lasciò sfuggire delle parole stonate, che guastarono immediatamente ogni cosa. - In fine - disse fra le altre cose - tu devi considerare i riguardi, i doveri speciali che t’impone la tua situazione rispetto a quella di tua moglie.
Suo figlio arrossì istantaneamente fino ai capelli. Poi rispose con dignità risentita:
- Non ho mai abusato di questa situazione. E ora neppure me ne giovo - in nessuna maniera. In ogni caso, sposando una ragazza ricca, non ho inteso di vendere né il mio pensiero né la mia coscienza.
Bianchini padre, irresistibilmente, fece un cenno d’assenso: essa lo fulminò con uno sguardo. E domandò con tuono alto:
- Dunque tu vuoi persistere su questa via? Tu andrai a fare?... il discorso? Tu continuerai a comprometter te e noi in faccia a tutta la società, fino alle ultime conseguenze... fino a disonorarti?
Il figlio ebbe una scossa.
Il padre disapprovò con un gesto quella parola.
- Senta -, riprese il figlio, con straordinaria fermezza, guardando fisso in viso sua madre - io le voglio bene e la venero, lei lo sa - ma le dichiaro formalmente che se il professare le idee che professo dovesse farmi perdere tutto il suo affetto e quello di mia moglie, e quello che la sua società chiama onore, e mi attirasse l’odio e il disprezzo di tutti quelli che lei conosce e ch’io conosco, e mi dovesse ridurre nella miseria - io non recederei d’un passo!
Il padre Bianchini si mise le mani sulla faccia.
La madre lo guardò, tra stupefatta e indignata, crollò il capo, mostrando i denti finti con un sorriso. In verità, essa non capiva: essa non capiva come potesse aver quelle idee uno che aveva un impiego, una fortuna, una posizione nel mondo. Gli pareva insensatezza, demenza pura. E guardava il figlio - quel figlio di cui aveva sempre creduto all’ingegno - come se un altro parlasse per lui, come se fosse stato vittima d’un malefizio. Poi con uno slancio di sincerissima dolorosa maraviglia, alzando gli occhi al cielo e allargando le braccia: - Dio mio! - esclamò - e tutto questo per un branco di scamiciati briaconi, di canaglie senza fede né legge!
Il padre protestò: - era troppo, era svisar l’Idea, non si trattava di questo - essa lo rimbeccò con ira - Il figlio li interruppe, dicendo a sua madre con tristezza: - Mamma, è inutile - lei non mi può capire...
- Ah! Capisco anche troppo - rispose con ira - che t’hanno stravolto il cervello - e tu l’hai stravolto a quella povera scimunita d’Ernesta, che ho sorpresa a mandar la biancheria nelle soffitte, che colle sue idee è diventata il ridicolo delle sue amiche! Eh, lo capisco pur troppo che tutte le tue idee, tutti i tuoi sentimenti si sono pervertiti dopo che ti sei abbassato a una società che non è la tua.
- Abbassato! - esclamò Alberto. Poi con vivacità, con un tuono di grande amarezza, in cui c’era pure una vibrazione d’affetto: - Ma come mai, mamma, lei che è nata da parenti modesti, che vissero del loro lavoro, lei che ha pure sofferto le privazioni e i dolori della povera gente, come mai può avere per essa un così profondo, un così implacabile disprezzo?
Essa interpretò in altro senso quelle parole.
- Alberto - disse, alzando il capo - tu non hai mai parlato così a tua madre!
- È perché mia madre -, rispose pacatamente Alberto, - non m’ha mai ferito in un sentimento così profondo come questo.
Sua madre fece l’atto vigoroso del pugno per aria e andò verso l’uscio.
- Alberto -, gli disse allora il padre, con voce affettuosa di preghiera -, non hai altro di più consolante da dirci?
Egli lo guardò, e vedendolo così afflitto, n’ebbe pietà. Gli prese le sue mani, e gli disse con dolcezza e fermezza: - Senti, papà: la mia coscienza non mi rimprovera nulla: io non faccio, non dico altro se non quello che il cuore e la convinzione mi detta: il mio ideale è nobile e generoso: io non sono che calunniato e perseguitato dagli egoisti e dai malvagi. Il mio onore mi impone di resistere, la mia coscienza mi comanda di andare innanzi.
Il padre domandò a bassa voce:
- Andrai a parlare agli operai?
- Ho promesso.
Allora il padre Bianchini alzò gli occhi in alto con uno sguardo con cui confessava il suo dolore, la sua impotenza, la sua rassegnazione, - poi con impeto baciò in fronte il figliuolo - e se n’andò col capo basso. Sua madre era già uscita.
Sua moglie rientrò in quel punto, veniva dal padre commossa.
- Tuo padre minaccia di riprenderti? - le domandò con un leggiero tremito nella voce, osservando contro luce la sua figura svelta e elegante - acconsentiresti?
Essa rispose con un accento di risoluzione, che non era nell’anima sua: - ... No, se muti.
Ma egli non poteva vedere questo contrasto, nel suo viso, per il buio.
- Non posso - disse, recisamente.
- E allora... - rispose essa, con un profondo sospiro - sia di noi quello che vuol Dio.
E andò nella sua camera. Egli andò a origliare all’uscio - la sentì piangere - si commosse, fece l’atto d’entrare. Ma il pensiero di rinnovare inutili scene, di ripetere e di sentir ripetere inutilmente, per la centesima volta, gli stessi argomenti - lo distolse - e solo, tristamente, se ne tornò nel suo studio.