CVII

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CVI CVIII
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CVII.


Mentre che i dumi e le mal’erbe ancide
     D’Arezzo l’ortolan Divo onorato,
     Nè può godere il frutto disiato,
     4Dice qual uom, che per morir si sfide.
Lappole all’orto mio nimiche infide,
     Per cui langue ogni rastro, e pur piegato
     Il vomer resta, che nel solco entrato
     8Per l’erbroso terren s’inaspra e stride.
A voi non rida il Sol, ma pigro gelo
     Di freddo scorno vi ricopra il volto,
     11Nè il vostro dritto unqua vi renda il cielo.
Poichè il giardin rendete ispido e folto;
     Nè resta mai che per cangiar di pelo,
     14E per ben coltivar non paja incolto.