Poi ch'io gustai, Gesú, la tua dolcezza
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Cantasi come Tanta pietá mi tira.
Poi ch’io gustai, Gesú, la tua dolcezza,
l’anima piú non prezza
del mondo cieco alcun altro diletto.
Da poi ch’accese quest’ardente face
della tua caritá l’afflitto core,
nessuna cosa piú m’aggrada o piace,
ogni altro ben mi par pena e dolore;
tribulazion e guerra ogni altra pace,
tanto infiammato son del tuo amore;
null’altro mi contenta o dá quiete,
né si spegne la sete,
se non solo al tuo fonte benedetto.
Quel che di te m’innamorò sí forte,
fu la tua caritá, o Pellicano;
ché, per dar vita a’ figli, a te dái morte
e per farmi divin se’ fatto umano;
preso hai di servo condizione e sorte,
perch’io servo non sia o viva invano;
poi che ’l tuo amore è tanto smisurato,
per non essere ingrato
tanto amo te, ch’ogni cosa ho in dispetto.
Quando l’anima mia teco si posa,
ogni altro falso ben mette in oblio:
la tribulata vita faticosa
sol si contenta per questo disio.
Né può pensare ad alcun’altra cosa,
né parlare o veder se non te, Dio;
solo un dolor li resta, che la strugge:
il pensar quanto fugge
da lei il dolce pensier per suo difetto.
Vinca la tua dolcezza ogni mio amaro,
allumini il tuo lume il mio oscuro;
sí che ’l tuo amor, che m’è sí dolce e caro,
mai da me non si parta nel futuro.
Poi che non fusti del tuo sangue avaro,
di questa grazia ancor non m’esser duro:
arda sempre il mio cor tuo dolce foco,
tanto che a poco a poco
altri che tu non resti nel mio petto.