Poesie varie (Maffei)/VI. Nella prima radunanza della Colonia Arcadica Veronese
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VI
Nella prima radunanza della Colonia Arcadica Veronese
che si tiene in remoto giardino sul colle.
Chi da le umili, dove il volgo ondeggia,
garrule vie mi parte
e per sentier non trito
in romita mi tragge ed ardua parte?
Qual veggio in seggi erbosi
drappel canoro di chiar’alme elette
contra de l’ozio, angue d’insidia armato,
dagli archi d’or cento vibrar saette?
Il lento mostro si contorce in vano
ed usa in van suo lusinghier veleno,
volan gli strai sonori
ed ei palpita e muor confitto al piano.
O d’alloro ben degna eccelsa impresa,
ove orror non sostiene e non intride
umano sangue a la vittoria il manto.
Il novo suon, l’avventuroso canto
émpian d’ognor le nostre selve; ed altri
in voce umil narri del cor gli affanni
e dolce pianga, e desti invidia il pianto;
ed altri i duci a celebrare invitti
la tromba prenda e, a l’alto suon fuggendo,
corran negli antri le smarrite ninfe,
turando con le man le orecchie molli
e gli occhi indietro al gran romor volgendo:
Non fian per certo si bell’opre in vano;
udrá su Pindo Apollo
le Muse udran. Ma che! scorgete? O strana
pompa a mirarsi! Vago carro aurato
aereo vien, destrier’ col tergo alato
il traggono superbi; ecco s’appressa.
O sante Dive de l’aonio coro,
umil v’adoro; oltramondan concento
qual su forato bosso i diti alterna
e nuova alta dolcezza insegna al vento,
qual fa l’arco strisciar su l’auree corde,
qual con l’ugna le fere: ei che lor regge
eccelso siede e con la man dá legge.
Felici i nostri colli ove discesa
tanta parte è del cielo.
Or mira il suol lá dove
imprimon l’orma le virginee rote;
la terra s’apre e muove
e spuntan lauri e come in scena suole
s’alzan frondosi al cielo ed è costretta
l’insolit’ombra ad ammirar l’erbetta.
Cento amoretti intorno
volan festosi; vedi quel che un ramo
con ambe mani afferra;
ferma su un altro il piede,
poi ’l torce e ’l preme in giú finché pur cede,
lo schianta e bianco il segno
appar sul tronco de la piaga, ed ora
in giro il piega, indi l’intreccia e annoda.
bieco un serto immortai. Ma in breve d’ora
quanti ne veggio? E a voi son pòrti e insieme
sul bel cocchio a salir v’è fatto invito,
che poscia ardito de la gloria al cielo
scintillando trascorre.
Mirate il vulgo vil che vive indarno
come lá giú s’affolla e stolto corre;
alza la faccia e mira e ’l ciglio inarca,
meraviglia il confonde, invidia il morde;
ma tutto invan, ché non femminea danza,
non han prodiga mensa o gioco avaro
l’erto cammin d’agevolar possanza.
Sol le vie per tentar alte, immortali
tesse virtú, fatica impenna l’ali.