La portantina scende la tranquilla
via che va lungo il fiume ed il giardino.
Giunge innanzi al cancello della villa.
S’arresta. Nel silenzio del mattino 5dentro annunzia la visita una squilla.
Stride la ghiaia, infantilmente, a un lieve
passo. Appare una fante scolorita,
che apre e chiude il cancello con un breve
inchino. E s’incomincia la salita 10dal viale. La dama oggi riceve.
Ma in segreto. E il giardino della dama
che oggi riceve, ma in segreto, ha un tale
senso di nudità mattutinale
che lo si invelerebbe in una trama 15di sogni, per proteggerlo dal male.
Un giardino domestico, ch’è come
certi ritratti di famiglia, dove
c’è una giovane nonna con le chiome
piene di roselline sempre nuove, 20sempre come pel giorno del suo nome.
Nome in grigio per vecchi salottini,
freddi ospizi di cembali malati.
Finestre cieche. Paraventi chini.
Tavoli zoppi. Mobili incantati. 25Mummie di fiori. Teschi di bambini.
Uno specchio. Due cigni imbalsamati.
Tre lampade senz’olio. Quattro arpette
con tra le corde topi addormentati.
Cinque scheletri d’angeli, alternati 30da sei pendole ferme sulle sette.
Sette croci. Sei squille. Cinque palme.
Quattro stole. Tre sai. Due torce spente.
Nel mezzo, un bianco cofano. In disparte,
le memorie che giocano alle carte 35coi ritratti d’un morto adolescente.
E’ fuori, il sole. Il sole d’un mattino
d’estate. Portantine a ogni cancello.
Tutta la terra, come un grande inchino,
mentre Re Sole scende pel giardino 40tra i fiori che gli baciano l’anello.
Nel giardino, il viale ha una spalliera
di sempreverdi, e i prati hanno pavoni
bianchi, che a lungo stridono, la sera,
verso la villa, che ha sui suoi balconi 45tante rose allacciate alla ringhiera.
Ma il viale è senz’ansia d’arrivare
alle soglie corrose della villa.
S’attarda in pigri giri ad ascoltare
le favole dell’acqua che zampilla 50tra i fiori, all’ombra delle siepi amare,
dimenticando che oltre neri arcali
di mortelle, tra rigide spalliere
d’ombra, più su, l’attendono piazzali
deserti, sotto porticati e nere 55volticelle di bussi claustrali,
architettati in grazia di tempietti
pastorali, propizi alle gavotte
notturne dei re nani, e ai minuetti
delle piccole fate, che ogni notte 60giungono sui lor candidi muletti,
con un tintinnio di sonagli, in una
luce di neve, da un lontano regno
d’edere vecchie, donde, all’ora bruna,
s’avviano insieme al magico convegno 65delle favole belle e della luna.
Ma ora non c’è che l’ombra sulla strada
mattutinale. Anche la partantina
sembra piena di rose e di rugiada,
e va lenta, che sembra se ne vada 70a un cimitero d’angeli in rovina.
Sembra, ma invece dentro c’è un abate
macilento, che teme l’aria, che ama
l’ombra, che vive d’ostie abbandonate
col sangue, in fondo ai calici, e si sfama 75nei carismi che porta alle malate,
pur di vivere ancora, pur di andare
col suo rosario di coralli bianchi,
sempre, di villa in villa, a confessare
le vecchie dame che hanno i cuori stanchi, 80lividi, pieni di corolle amare.
Corolle di peccati giovanili,
schiuse entro cuori di passione, in gioco
di voluttà cresciute, arse dal fuoco
d’un gran rimorso, e imputridite a poco 85a poco, fra le lacrime senili.
E il vecchio abate, che fu già l’amante
delle giovani donne, ora morenti,
quand’egli ad esse, complice galante,
mandava per la bocca dei serpenti 90lettere suggellate d’ostie sante,
fatto or pastore d’anime pentite,
poter vorrebbe, chino sul loro molle
seno, sfogliare tutte le corolle
in fondo al loro cuore seppellite, 95per poi gettarle con un gesto folle
sulle dolci acque delle assoluzioni,
solo così vivendo per gustare
la voluttà sacrilega d’andare
negli orti del peccato a seminare 100fra tanti rovi i gigli dei perdoni.
E frugare quelle anime. Cercare
la giovinezza. Assolverla. Vedere
un passato colpevole specchiare
il suo viso più giovane. Sapere 105se le amanti lo vollero ingannare.
Torturarle, le amanti moribonde.
- Confessate! Il segreto! Voi mentite!
E’ la morte! Con chi? Dove? Ma dite!
Dite! Voglio le colpe più profonde. 110Voglio sapere come voi mi tradite.
- Quando? - - Una sera che pioveva forte...
- Dove? - - Una stanza piena di specchiere...
- Come? - - Egli chiuse avea tutte le porte...
- Con chi? - Le labbra lasciano cadere 115un nome nel silenzio... E poi la morte.
La morte delle amanti. Nei salotti
dell’amore già s’odono le scale
che contano i suoi passi. Come sale
lenta, uno a uno, quei gradini rotti, 120lottando contro gli angeli del male!
L’abate pensa all’acqua benedetta.
L’acqua? (- Una sera che pioveva forte... -)
E il crocefisso?... sopra la spinetta,
nell’altra stanza... (Ahimè, tutte le porte 125erano chiuse!) E’ un sogno? o una vendetta?
Terrore dell’amante confessore!
Fuggire dalle camere e dal male...
Lo sguardo degli specchi! E quel terrore
d’incontrare la morte sulle scale, 130di riceverne l’alito sul cuore!
La fuga per le stanze. Quante mura
le cieche mani toccano! Un destino
di tomba viva. A un tratto, la frescura
d’una porta che s’apre sul giardino... 135La notte! E quando giunse era mattino!
Calen di luce! A tutte le fontane
bevevano le rondini del giorno.
Il vento le nutriva con del pane
di rose. Il sole con dei raggi. Intorno 140barcollavano stanche le campane.
Campane che tornavano da un ballo
di stelle, trascinando sullo smalto
del vento azzurro tutto il raso giallo
che l’alba aveva sollevato in alto 145con mani inanellate di cristallo.
Morto ora è il giorno. L’han deposto nella
funebre portantina dell’abate,
con due rondini vive e qualche stella.
le sue palpebre d’oro sono state 150socchiuse dall’oscurità sorella.
Campane in lutto e nuvole dolenti;
poi l’han calato in fondo all’orizzonte.
Ora è la fine. I cieli sono spenti.
E una bara di lacrime è di fronte, 155chiusa, a una chiusa bara di lamenti.
Così che, uscendo, ov’egli la depose,
l’abate in cerca della portantina
non trova che uno spazio irto di rose,
per gemervi. - Dov’è? Chi la nascose? 160Quand’ecco l’ombra farsi alabastrina,
per l’alba d’una luna che l’ha udito,
mentre fugge attraverso la rugiada,
come fugge un colpevole inseguito,
- Dov’è? Dov’è? - chiedendo. Ma ogni strada 165sbarrata è da un pavone inferocito.
S’aprono le finestre e poi le porte
della villa. Fantasmi di gavotte
scendono in vesti d’angeli. La morte
col suo scheletro siede al pianoforte, 170e canta, nel silenzio della notte.
Egli ode e fugge. Come brilla il viso
della luna che illumina il profilo
del mondo nello spazio! All’improvviso
egli si sente solo. O, udire un filo 175di voce, per trovare il paradiso!
Poichè egli muori, come santamente
morì l’ultima amante, perdonata
dopo aver ogni colpa confessata
a lui che, assolvendola, dannata 180s’è l’anima, e dannato ora si sente.
E si dispera. Giunto sulle sponde
d’uno specchio, chinatosi a guardare,
s’inginocchia sull’acqua e si nasconde
in un’efflorescenza ove scompare 185col corpo come i morti nelle bare.
Fin che l’alba del sole apre il cancello
di quel giardino con un raggio d’oro,
e i fiori, giunto come col vascello
d’un cigno, se lo mostrano tra loro, 190che dorme in fondo al letto d’un ruscello.