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27 settembre 2008
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poesie
Umilissimamente in ginocchione
le confesso, Signora, il mio peccato,
io sono un solennissimo poltrone,
mancator di parola, screanzato.
Insomma io sono proprio una bestiaccia5
e me lo dico francamente in faccia.
Né pretendo scusarmi, ancorché sappia
che vizi tali son doti e retaggi
di persone di nobile prosappia,
di magistrati ed alti personaggi,10
e benché sappia che il non mantenere
la parola è un’azion da cavaliere.
No, mia Signora, che che il mondo dica
onde addombrare i vizi de’ potenti,
in mia difesa io non l’adduco mica.15
Io dell’ultima classe de’ viventi
ho della plebe l’esclusivo dritto
di sentire il rimorso di un delitto.
Perciò, sapendo che ho mancato a lei
dopo tante promesse replicate,20
arrossisco, vergognomi e offrirei
volontario il mio culo alle sferzate
piuttosto che soffrir l’onta e il rossore
di comparirle innanzi mancatore.
Ma che posso or far perché sia tolto25
il mio peccato dalla sua memoria?
Le piace che componga alquanto il volto
e le intuoni una prece espiatoria?
Ebbene: eccomi qui più smunto e serio
del sovrano famoso del salterio.30
Salve donna Camilla tutta grazia
nel morale così come nel fisico,
sopra la quale il ciel mai non si sazia
versare i doni suoi, quantunque a risico
che gridin l’altre donne con mestizia:35
A lei tutto, a noi niente? Oh che giustizia!
Salve tu moglie di cotanto uomo,
raro e prezioso assai più de’ brillanti
che compera e che vende in faccia al Duomo.
Salve tu madre di campioni erranti,40
valorosi più assai di mille squadre
alle tavole tonde ed alle quadre.
Salve nipote di quel bravo zio,
generoso, leale, umano, nobile,
franco, grazioso, buon servo di Dio45
e dell’Isola d’Orta il più bel mobile.
Salve tu madre delle tre ragazze
conservatrici delle buone razze.
Salve tu madre d’altra figlia eletta,
tipo d’ogni più onesta costumanza,50
che avrà marito quando men l’aspetta.
Salve suocera tu d’una Costanza
che per sue forme e per buontà di cuore
è un fiore, un ananas d’ogni sapore.
Deh per virtù di questa settenaria55
serie di gaudi, che t’inebrian l’alma,
una indulgenza accordami plenaria
e il mar dell’ira tua riponi in calma,
quoniam pro meo peccato cogitavi
et stratum meum lacrymis rigavi.60
Orsù via dunque, i miei clamori ascolta
meas omnesque iniquitates dele,
e s’io torno a mancarti un’altra volta
s’estingua per me il sole e le candele,
o se il ciel mi concede di guardare65
mi mostri sol de’ conti da pagare.
Possa il sonno fuggirmi in quel momento
ch’alzo la gamba per montar sul letto,
e se pure che dorma è il ciel contento
sognar sempre mi faccia a mio dispetto70
nuovo impiego più adatto, assai promesso
e sospirato indarno infino adesso.
Finalmente per sempre mi soscrivo
d’indomito appetito esser bersaglio,
senza denaro e di vivande privo,75
ed a soffrir che mi si mostri in sbaglio
da chi non ben distingue le persone
per groppier di roletta o faraone.
Da tutto ciò, Camilla mia, tu vedi
quanto abborro e detesto il mio peccato80
perciò levo i ginocchi e m’alzo in piedi
persuaso che m’hai già perdonato,
anzi mi pare udirti dire: Oh bravo!
Tu sei de’ guadi miei proprio l’ottavo.