Poesie (Parini)/VI. Versi sciolti/I. Epistola all'ab. Giulio Zanzi
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I
EPISTOLA ALL’ABATE GIULIO ZANZI
per le nozze di Lucrezia Zulian con don Alessandro Ottoboni
del quale il Zanzi era segretario.
[1757]
Or tu, Giulio, vedrai tra i mariti flutti,
novello abitator, seder Vinegia,
maraviglia dell’onde; a cui Nettuno
prestò l’altero dorso, e disse: — Questa
5mi sia in vece di Troia, a cui le forti
mura, che ’l grande Ettor di sangue sparse,
meco Apollo donò: questa d’Atene,
cui contese il mio nome il sacro ulivo
di Pallade guerriera. I pregi adegui
10d’ambedue le cittá famose tanto:
l’aspra sorte non giá, che le gran torri,
che ingombravan le nubi, a terra stese. —
Vedrai l’altere moli al divo sacre
intorno al qual cheto leon s’aggira
15custode de la pace, e all’ire pronto,
s’altri ’l tenta ingiurioso. I gravi padri
vedrai nel gran senato, onde Giustizia
stringe le chiavi; ove Prudenza in alto
speculatrice ad osservar si sta.
20Che, se vaghezza di mirar ti prende
le fervid’opre, che ’l cammin dell’onde
aprono altrui, e moto danno al sangue
onde vivono i regni, al buon Commercio,
che de la Copia è amico, i rozzi abeti
25vedrai perder la scorza, e varia forma
prender navale, e di sicuro armarsi
bitume intorno. Udrai gemer la prima
volta le antenne; e le candide vele
non peranco da salso umor bagnate,
30vergini aprir la prima volta il seno
ai zefiri del lito. Né l’ardente
desio d’antichitá fia che inquieti
lo tuo cor pago: i marmi, i simulacri
dedicati al valor ne’ fòri augusti
35ti fien pascol giocondo: i freddi sassi
imprimerai di baci ove stan chiuse
le ceneri de’ gran cigni dell’Adria,
i cui be’ nomi nel profondo limo
11fiume alto del Tempo non assorbe,
40ma galleggianti in sul dorso li porta
nell’oceán d’Eternitá lá dove
va rapido torrente a metter foce.
Ma, se mi lice or teco il core aperto
mostrar com’io facea, non io t’invidio
45(e sia pur qual tu vuoi grande il piacere)
coteste maraviglie. In cor soltanto
alto fise mi stan le due bell’alme
che del sangue ottobono e del zuliano
or fan solo una coppia: amabil coppia
50onde vano è lodar gli aviti pregi,
però che tutti in sé gli accoglie; e tutti
può tramandarli nell’amata prole.
E ben beato è chi degli avi illustri
mira le immagin pinte; e in lor, siccome
55in speglio veritier, trova se stesso.
Però invidia a te porto, a te ch’or vedi
gli affetti di que’ due spirti leggiadri
interprete fra lor. Tu de’ segreti
moti dell’alme scrutator sagace,
60lor voglie intendi a cui Ragion è guida:
e scorger puoi entro a’ lor cori amanti
bollire i semi di virtude altera.
Ma tu ben sai che l’onda d’Aganippe
in noi desta furor, che poi ne porta
65imaginando per estran paesi,
a coronar gli eroi di bella lode.
Vedimi or dunque entro alle stanze aurate,
che delle allegre nuziali pompe
ridono intorno. Io da me stesso i lieti
70sposi conoscerò: vedrò la bella
starvi pensosa, e pallidetta in viso,
qual nuova sposa suol cui vivo foco
arde al di dentro; e al sen le si ristringe
Verginitá tremante e sbigottita.
75II giovin che di grand’avoli è stirpe
siedele accanto; un tremulo baleno
d’amorose scintille intorno ferve
a le cupide luci, ond’egli bee
dal bel volto di lei tosco soave,
80ch’ai cor gli scende. E qual cosa si cela
a’ poetici lumi? Il vulgo insano
stima favola e sogno allor che n’ode
cantar: «io veggo, io veggo»; e folle ignora
la gran possa di Febo, il qual ne dona
85raggi, che penetrando al tempo in seno
mille scoprono a noi riposte cose
ch’altri non saprá mai. Ecco la Fede,
che candido il bel viso, e ’l nobil velo
candido anch’esso, a la beata coppia
90impon suo giogo: Amor lieto il sostenta
con benefica man, si che non gravi
troppo l’un sposo e l’altro; e su vi sparge,
temprati da Ragion, Venere i cari
piacer dell’aureo cinto, onde la calda
95gioventude è pur vaga: ed infinita
serie nasce dappoi d’uomini. — O sposi
(questi dal labbro, onde Semplicitate
ministra le parole, amichi detti
scioglie la Fede), o sposi, or non v’incresca
100sentire il peso de’ miei lacci: e i santi
non isfuggite nuziali affetti.
Giá nel terrestre paradiso i primi
padri non ne fur schivi: il nume istesso
alzò sua voce; e lor mostrò siccome
105colle amabili nozze di due spirti
fassi uno spirto; e di due cori un core.
Allor prima quaggiuso Amor comparve,
ch’eterno è in cielo; allora i’ nacqui; e Imene
scosse la prima face. O qual destossi
110nel seno al padre de’viventi allora
inquieto fervor, che lui sospinse
a stringer primo la consorte al petto.
Né la viragin bella avaramente
la man ritenne; egual forza traea
115lei pure al dolce incanto: e oh voi meschini
se colei contrastava! Al secolo nostro
la bella gloria d’ambedue le stirpi
non discendea giammai per generoso
sangue sparso e magnanimo: né alcuna
120posteritá saria, che in voi scemamente
fidasse la sua verde speme. —
Ma a noi, Giulio, non lice ancor piú a lungo
il piè fermar tra le festose soglie
ove alberga il Piacer. Vedi che intorno
125liev’ombre impazienti e disdegnose
s’aggirano a gli sposi: e in lor favella
li priegan pur, che non ritardin tanto
a lor di figli il nome e a sé di padri.
<poem>
Vedi come stan pronte? Avvi chi scote
130le belliciste; e su i dipinti scudi porta future imprese: altri si veste
purpurei manti e d’oro, onde la santa
religion s’adorna; e tutte in viso portano i lor grand’avi. L’aere denso 135che lor si volve intorno è che ne manda co’ ripercossi raggi i be’ colori, i quai con varie forme ingannan l’occhio e mostran l’avvenir. Qual sul mattino l’esercito dell’api intento vola 140de’ fior a còr la rugiadosa manna onde si pasce; e ciascun’ape a gara s’avventa al primo fiore, e lo succhiella col pungiglion dorato; indi ne attrae per lo sottil cannello il vital sugo; 145cosi la turba degli spirti attende soli i due sposi: e ciascun spirto è pronto, quando Amor sciolga la feconda piena, a balzar primo, e ricercar sua vita nel bel materno grembo. Or ti rimani, 150Giulio, fra i dolci eventi, e crescer mira la cara speme de’ futuri tempi nel sen fecondo. E se sostener puoi l’immenso lume de la lor grandezza spècchiati negli sposi; e l’alma Pace 155vedi con Amor giunta intorno a loro scherzar vezzosamente, e cacciar lunge dal casto letto Gelosia crudele, che fugge avvolta in panni orridi e bruni e invan tentando le affannose lime, 160ch’aman di straziar gli accesi petti.
Io la veloce fantasia richiamo
all’insubre terreno, e m’apparecchio ad invocar Lucina; e in piú bei carmi celebrar frutti del grand’arbor degni.
165Né l’alta pianta ancor, che dal buon ceppo
ottobon venne a fortunar cotanto
il terren dov’io nacqui, inutil fia
unquanco a’ versi miei, però che l’ombra
proteggeramtni di sua nobil fronda,
170che, mie glorie formando, intorno al crine
serpeggerammi dell’alloro invece.
Giulio, dell’immortai Vittoria io parlo,
che in deboi sesso i maschi avoli imita,
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