Poesie (Parini)/V. Terzine/VIII. Al canonico Candido Agudio
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VIII
AL CANONICO CANDIDO AGUDIO
Canonico, voi siete il padre mio,
voi siete quegli in cui unicamente
mi resta a confidare dopo Dio;
voi siete quegli che pietosamente
5m’avete fino adesso mantenuto,
e non m’avete mai negato niente.
Io mi rimasi ieri sera muto
per la vergogna del dovervi dire
il tristo stato in cui sono caduto.
10Dicolvi adesso: ch’io possa morire,
se ora trovomi avere al mio comando
un par di soldi sol, non che due lire.
Limosina di messe Dio sa quando
io ne potrò toccare, e non c’è un cane
15che mi tolga al mio stato miserando.
La mia povera madre non ha pane,
se non da me, ed io non ho danaro
da mantenerla almeno per domane.
Se voi non muove il mio tormento amaro,
20non so dove mi volga; onde costretto
sarò dimani a vendere un caldaro.
Per colmo del destino maladetto,
10devo due zecchini al mio sartore,
che giá tre volte fu a trovarmi al letto.
25D’un altro ancor ne sono debitore
al calzolaro, oltre quel poi che ho, verso
il capitano, debito maggiore.
Sono in un mare di miserie immerso;
se voi non siete il banco che m’aita,
30or or mi do per affogato e perso.
Mai la mia bocca non sará piú ardita
di nulla domandarvi da qui avanti,
se andar me ne dovesse anco la vita.
Ma per ora movetevi a’ miei pianti,
35abbiate or sol di me compassione,
dieci zecchini datemi in contanti.
La casa vi darò per cauzione,
iuo ve l’obbligherò per istroinento,
e ve ne cederò ogni ragione.
40Costi nella canonica sta drento
il Bellotti; egli stendane il contratto,
se siete di soccorrermi contento.
Io ve la do e dono ad ogni patto,
purché quest’oggi verso me facciate
45quello che tante volte avete fatto.
Mai non fui degno di tanta pietate,
mai non son stato in maggiore strettezza;
voi che il potete, fuora mi cavate.
Giá che il cielo v’ha dato la ricchezza,
50siatene liberale ad un meschino
che sta per impiccarsi a una cavezza.
Siatevi certo che il Figliuol divino
vi renderá nel cielo un qualche giorno
ampissimo tesor per un quattrino.
55— Ma! e la mia piazza?— La mia piazza un corno:
voi vi fate una piazza in paradiso
col tornii alla miseria ed allo scorno.
Voi me li fate avere in casa Riso
prima di questa sera se potete,
60ch’io non oso venirvi innanzi al viso.
Entro ad un libro voi li riponete,
perché nessuno se ne avvegga, e quello
in una carta poi lo ravvolgete;
anzi lo assicurate col suggello,
65oppur con uno spago, e dite poi
che consegnino a me questo fardello.
Se voi mi fate questa grazia ancoi,
non me la fate in altro modo; ch’io
non oso presentarmi innanzi a voi.
70S’io gli abbia di bisogno, lo sa Dio;
ma ho vergogna di venir l’eccesso
a predicarvi del bisogno mio.
Pan, vino, legna, riso e un po’ di lesso
a mia madre bisogna ch’io mantenga;
75e chi la serva ancor ci vuole adesso.
Deh, per amor di Dio! pietá vi venga,
canonico, del mio dolente stato,
e vostra man dall’opra non s’astenga.
Per caritá, se non m’avete dato
80un’altra volta quel ch’io vi cercai
per quel poema, che vorrei stampato,
mcl concedete adesso, che ne ho assai
piú di bisogno. Io chiesine diciotto,
ed otto solamente ne impetrai.
85Una decina or aggiugnete agli otto
per aiutar mia madre; ché i danari
non mangio, né li gioco, né li fotto.
Bisogna bene che non abbia pari
la mia necessitá ch’oggi in’inspira
90questi versi che sono singolari;
poiché nessun poeta mai fu in ira
talmente a la fortuna, che cantasse
i casi suoi con si dolente lira.
I’ ho tutte le membra stanche e lasse,
95poiché stanotte non dormii per fare
che al fin questo capitolo arrivasse;
onde, piú non potendo, al mio pregare
qui termin pongo, e spero, e tengo fermo,
che voi non mi vorrete sconsolare,
100e ch’ai mio male voi sarete schermo;
e che vedrò dieci zecchini in viso
venirmi oggi a sanare il core infermo,
e che li troverò in casa Riso.