Poesie (Parini)/I. Opere drammatiche/IV. L'amorosa incostanza, dramma comico
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IV
L’AMOROSA INCOSTANZA
Dramma comico.
PERSONAGGI
Alcindo, amante di Corilla. Giovinetto. |
Montano, amante di Filinda. Adulto. |
Batto, vecchio pastore, ministro di Diana. |
Corilla, adulta. |
Filinda, giovinetta. |
Coro di pastori. |
Coro di pastorelle. |
ATTO I
SCENA I
Coro di Pastori che danzano e cantano. Alcindo, Montano,
Silvandro, Corilla, Filinda, Eurisa e poi Batto.
Ascolta i tuoi pastori,
difendi i nostri amori,
o santa deitá.
Corilla, Filinda, Eurisa.
Compagne, che sará?
Coro. Difendi ecc.
Batto. Che schiamazzo è codesto? e che volete?
Parlate, rispondete. Ognor si viene
Diana a importunare.
Ha ben altro da fare,
ella e i ministri suoi,
che badar, seccatori, ognora a voi.
Parlate, che si fa?
Coro. Difendi ecc.
rompereste la testa anco agli dèi.
Un solo, alla malora,
parli a nome di tutti. Ancor tacete?
Spacciatevi, esponete.
Alcindo, parla tu.
Ai.cindo. lo non m’arrischio.
Si LV ANDRO. A te, Montan, che se’ di noi piú franco.
Montano. Oibò, oibò, che, se le donne il sanno,
in mille pezzi poi mi sbraneranno.
Ratto. In somma, cosí va. Fate gran chiasso
cicalando tra voi; ma nel cimento
voi siete come i topi;
e niun vuol esser quello
che poi metta alla gatta il campanello.
Montano, parla tu.
Montano. Eh alfine che sará? Mi coprirò
il viso col cappello, e parlerò.
Sappia la nostra dea
che tutti noi pastori innamorati
ci troviam dalle donne ognor burlati.
Or vogliam che palesi
sieno a tutti gli amanti
le ninfe che in amor sono incostanti,
e vogliam che ciascuna un segno porti,
onde, nota al di fuori,
ingannar piú non possa altri pastori.
Filinda. Che tradimento è questo?
Eurisa. Ohimè che brutto intrico!
Corilla Ber me non c’entro, e non in’importa un fico.
Batto. Rimango stordito,
non so dove sia.
Che strana pazzia
è questa ch’io sento?
Cercando il tormento
apposta si va.
Dormiteci sopra.
Se avvien che si scopra
quel mal che cercate,
pensate, badate,
di voi che sará?
Coro. Difendi ecc.
Batto. Ebben, quand’è cosí, tosto men vado
a consultar la dea.
Cavatevi il capriccio;
e v’avvedrete un di quanto vi costa.
Ite, e tornate poi per la risposta.
SCENA II
Alcindo, Montano, Silvandro, Corilla, Filinda, Eurisa.
sono le nostre amiche
in collera con noi.
Montano. Mirate come
si stanno lá in un canto
guatandoci sdegnate.
Mi pento, affé, d’averle corrucciate,
Silvandro. Eh, amici, non c’è male.
La donna è un animale
che passa in un momento
dai graffi alle carezze.
Andiamole a tentare; e voi vedrete
che non è grande il mal come credete.
Eurisa, che hai?
Alcindo. Filinda...
Montano. Corilla...
Eurisa, Filinda, Corilla.
Ah perfidi, ingrati,
si tratta cosí?
pietá ne chiedete:
e poi, scelerati,
un tal tradimento
si medita qui?
Eurisa, F’ilinda, Corilla.
Ah, perfidi, ingrati,
si tratta cosí?
Silvandro. Eurisa mia garbata,
perché cosí sdegnata?
Io sono il tuo pastore.
Per te son tutto amore,
son tutto fedeltá.
Eurisa. Vecchio balordo e stolto,
osi mirarmi in volto?
Vattene via di qua!
Alcindo. Filinda amata,
non tanto in collera!
So che all’amante
tu sei costante;
non ti sdegnar.
Filinda. Pastor villano,
stanimi lontano;
non mi seccar.
Alcindo. Ah ben conosco adesso
che ho fatto una pazzia.
Filinda non m’ascolta, e scappa via.
Io la vo’ seguitare.
Silvandro. Eurisa ancora
se n’è andata di lá. Pazzi che siamo!
Perdemmo la fanciulla,
e per troppo voler non abbiam nulla.
Dietro le correrò,
e la raggiungerò;
e tanto opererò con preghi e doni
che alfin bisognerá che mi perdoni.
SCENA III
Montano, Corilla.
Non darmi si gran duolo.
Ah che un momento solo
non dubitai di te.
Ma che far si potea?
Tutti quanti i pastori erano d’accordo
di consultar la dea: ed io soletto
a parlar fui costretto.
Gorilla. Eh taci, ingrato!
Non meriti da me né amor, né fede.
Colle donne cosí non si procede.
Ominacci impertinenti,
assordate l’aria e i venti
cogli affanni, coi sospiri,
coi trasporti, coi deliri;
ma se poi nulla ottenete
i tiranni esser volete
della nostra libertá.
Traditori, andate andate!
Del mal gioco che ci fate,
si, ciascun si pentirá.
SCENA IV
Montano.
Non ho cor di seguirla. Io son confuso.
Non so quel che mi faccia.
Oh poveretto me!
non perdona mai piú. Sia maladetto
quel momento che venne
in capo de’ pastor questa sciocchezza.
Io tirato ci fui colla cavezza.
Or Conila sdegnata
m’abbandona per sempre; ed io con lei
la mia vita, il mio ben, tutto perdei.
Mio bene, addio.
Son disperato!
Morirti a lato
se non poss’io,
ombra e fantasima
ti seguirò.
Lá sul pendio
quella è una balza,
che il capo inalza.
Lá su quel sasso
io salirò,
e di lá subito
precipitando
col capo abbasso
m’ucciderò.
Batto. Montan, senza guardarmi
dove corri cosí?
Montano. Ad ammazzarmi.
Batto. Bagattella! Montano, aspetta aspetta;
di morir non c’è fretta.
Ma il vento se lo porta. Eh non fia nulla;
piú non s’usa morir per la fanciulla.
Ignoranti pastori, ecco gli effetti
degli sciocchi sospetti. Io sarei pazzo
a interrogar la dea. A modo mio
ho finto la risposta; e a voi con questa
voglio cavare il ruzzo dalla testa.
Ma chi con tanta furia
Qualche nuova pazzia!
Silvandro. Alcindo. (a due)
Batto caro, aiuto, aiuto!
Batto. Cos’avete? che sará?
Alcindo. Ogni cosa abbiam perduto;
siamo tutti rovinati,
se di noi non hai pietá.
Batto. Siete pazzi, in veritá!
Si lv ANDRO. Oh che flagello,
oh che scompiglio!
Lontano un miglio
s’ode il fracasso;
tutto in conquasso
se n’anderá.
ABBOZZI VARI DE «L’AMOROSA INCOSTANZA
I
noi l’abbiani fatta brutta.
Silvandro. Oh brutta in veritá. Quelle furbette
si stavano in aguato.
Alcindo. Or tutto sará noto al vicinato.
Affé, che noi stiam freschi!
Montano. Io che si franco
parlai per tutti noi
sto piú fresco di voi: se mai Corilla
mi può aver nelle mani
è donna da stracciarmi a brani a brani.
Alcindo. Ah di noi che sará?
Montano. Tutte le donne
saran meco sdegnate;
mi pento affé di averle corrucciate.
Alcindo. Ah ben m’avveggo adesso
che femmo una pazzia!
Silvandro. Sia maladetto
il momento, che venne
in capo dei pastor questa sciocchezza.
Alcindo. Io tirato ci fui colla cavezza.
Or punito sarò.
Montano. Pazzi che siamo!
Perdemmo la fanciulla;
e per troppo voler non abbiam nulla.
pigliar qualche partito.
Silvandro. Io per me son confuso.
Montano. Io son stordito.
Montano, Silvandro, Alcindo. (a tre)
Piú non so come risolvere.
Io mi trovo in brutto intrico.
Parla, pensa, dimmi, amico,
e che cosa abbiam da far?
Montano. Se le donne noi lasciamo,
non potremo piú campar.
Silvandro. Se le donne noi cerchiamo,
ci faremo corbellar.
Montano, Silvandro, Alcindo.
Eh coraggio! andiamo andiamo.
Non si può piú farne senza.
Qui conviene aver pazienza
o di bere o d’affogar.
II
Piú per noi pietá non v’è.
Batto. Spiegatevi una volta.
Silvandro. Ah che le donne
sollevate si son contro di noi!
Chi s’arma, chi s’avventa,
e chi graffia gli amanti, e chi gli addenta.
Tempestano i bastoni:
e fischiano all’orecchio le sassate,
che sembrano gragnuola a mezza state.
Scoppia loro dagli occhi
la collera in scintille;
e versan dalla bocca
i falsi giuramenti a mille a mille.
Lungi un miglio si sente il fracasso;
le capanne van tutte in conquasso;
dappertutto si sente gridar.
Si minaccia, si fugge, si smania.
Sembra il tuono o la folgor che strida;
par tremoto che gli uomini uccida.
Son stordito, io non posso parlar.
Batto. Sciocchi, mai non avete
né mezzo, né misura:
or temerari siete
ed ora spiritate di paura.
Alcindo. Ah Batto, per pietá!
III
delle vostre pazzie.
Silvandro. Sia maladetto
quel momento, che venne
in capo dei pastor questa sciocchezza.
Alcindo. Io tirato ci fui colla cavezza.
Ma vengono le donne.
Silvandro. Ohimè, fuggiamo.
Giá sento le sassate.
Alcindo. Chi può salvar si salvi!
Batto. Olá, fermate!
SCENA XII
Ratto, Silvandro, Alcindo, Corilla, Filinda, Eurisa.
questa fatai sentenza.
De’ numi la clemenza
venghiamo ad implorar.
Siamo costanti, è vero;
ma questo è un torto espresso.
L’onor del nostro sesso
si tenti di salvar.
Filinda. . . . . . . . .
IV
Eurisa. Ma questo è un torto espresso.
Corilla, Filinda, Eurisa.
L’onor del nostro sesso
si tenti di salvar.
SCENA XII
Detti e Montano.
di nulla palesar. Sono i pastori
del lor fallo pentiti;
né voglion colle donne aver liti.
Batto. Or piú a tempo non siamo.
Montano, Silvandro, Alcindo. Ah, Batto, taci!
Ah, taci per pietá!
Batto. La cosa è fatta.
L’oracolo ha parlato in chiaro metro;
e voce degli dèi non torna indietro.
Corilla. Dimmi, son io costante?
Filinda, Eurisa.
Confidalo anche a noi.
Batto. Oh sciocche, chi lo sa meglio di voi?
Sulla piazza al novo sole
v’adunate tutti quanti;
lá chi sono le costanti
fra le ninfe si dirá.
Corilla, Filinda, Eurisa.
E se v’è chi non lo sia
di costei che seguirá?
Batto. Per comando di Diana
la ghirlanda lascierá.
Alcindo. Destino nemico!
Silvandrò. Che imbroglio.
Montano. Che intrico,
è questo per me.
Corilla. Costanti noi siamo.
Filinda. Noi siamo sincere.
Corilla, Filinda, Eurisa.
Per voi da temere
niente non c’è.
Silvandro. Eh, non m’importa niente!
Vada come si vuole.
Dimani al novo sole
di tutto riderò.
Montano, Alcindo.
Ah, in simile frangente
ci va del nostro onore,
e rider non si può.
V
proverai la mia vendetta.
Montano. Ah perdona, o mia diletta,
lo mancai per compagnia.
So che feci una pazzia,
e mai piú non la farò.
Corilla. Proverai la mia vendetta,
una furia ognor sarò.
Pastore audace,
senti una furia
come P ingiuria
sa vendicar.
Montano. Ah, datti pace,
no, non lo far.
Corilla. Io ti dirò: — Mio core,
moro per te d’amore:
caro, non posso piú. —
Montano. Oh cara pastorella!
vendetta cosí bella
trovata mai non fu.
Corilla. Allora in un momento
io cambierò talento;
e ti dirò cosí:
— Insolente, mal creato,
vanne via, tu m’hai seccato:
non ti posso sopportar. —
Montano. Ah, perdono!
Corilla. Ascolta ancora.
Montano. Che dirai?
Corilla. Dirò cosí:
— Oggetto amato
degli occhi miei,
solo mio bene,
Fino alla morte
t’adorerò. —
Montano. Che bella sorte!
che bel contento!
Corilla. Ma in quel momento
mi cambierò.
Montano. Ahimè! cosa farai?
Corilla. Cento pastor vedrai
a me venire appresso.
Con tutti a dir lo stesso
allora io tornerò.
Montano. La rabbia mi divora
pensando a un tal martir.
Montano. | Ah mille volte allora | |
Corilla. | mi sentirò morir, | |
(a due) | ti sentirai morir. |
io ti farò scappar.
Con una parolina
io ti farò restar.
Talora un’occhiataccia,
talora un’occhiatina;
e cosí
su e giu,
chiamato e poi respinto,
da questo labirinto
non uscirai mai piú.
Montano. Crudelaccia! che strano tormento
Corilla. La vendetta cosí si fará.
Montano. Lionessa! m’ascolta un momento.
Corilla. Non t’ascolto.
Montano. Tigraccia vien qua.
Corilla. Non sperare né amor né pietá.
VI
Montano, Silvandro. (burlando con ironia)
Belle ninfe innamorate,
perdonate. |
si balla |
SCENA IV
Montano, Silvandro, Alcindo.
noi l’abbiam fatta brutta.
Montano. Oh brutta affé!
Le donne, che son furbe e curiose,
si stavano in aguato.
VII
SCENA...
Pastorelle che ballano.
Corilla. In amor chi vuol costanza,
non si dolga ogni momento: |
si balla |
sospendete per poco. Io sono stanca
di guidarli col canto.
Riposiamoci alquanto. Anco i piaceri
somigliati la fatica;
ritornan piú soavi e graziosi
dopo brevi riposi. Ah no, che stato
piú del nostro beato
in terra non si dá. Mille pastori
covan per noi nel seno
al par di questi monti
eran gli amori eterni. Oh sciocchi tempi!
Or noi da questo a quello
passiam di giorno in giorno;
ma poi facciam ritorno
mai sempre al più gradito ed al piú bello.
Cosí la rondinella
vola di lido in lido;
ma sempre al dolce nido
tornar si vede ancor.
I pastori per altro
tardan troppo a venire. Omai la sera
veggo scender dai monti. Un grande affare
convien che li trattenga.
VIII
che piú mia non sará, permetti almeno
che imprima il labbro mio...
Corilla. Taci, mio ben; piú non resisto. Addio.
Non so frenare il pianto,
caro, nel dirti addio.
Da questo pianto mio
comprendi il mio dolor.
Caro, nel dirti addio,
sento spezzarmi il core:
comprendi il mio dolore;
abbi di me pietá.
Ah mi si spezza il core,
caro, nel dirti addio.
ah mi si spezza il core;
il barbaro dolore
alfin mi ucciderá.
Ferma... deh vanne, oh dio!
Caro, nel dirti addio
sento...
Da questo pianto mio
comprendi il mio dolore:
se mi vedessi il core
io ti farei pietá.
Vanne, mio bene, oh dio!
Sento che il mio valore
resister non potrá.