Poesie (Fantoni)/Scherzi/XXIV. A Fille, chiedendo da bere
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XXIV
A Fille,
chiedendo da bere.
Fille vezzosa, donami
la cetra ed il bicchiere,
ch’io vo’ d’amor cantare,
e vo’ cantando bere.
5Dal fresco pozzo toglimi,
di tosca vite figlia,
la dolce, sacra a Bromio,
amabile bottiglia.
Sotto di questa pergola
10regna l’amica pace,
e in mezzo al vin si perde
la pigra cura edace.
I lascivetti pampani
mi scherzano d’intorno,
15e il crine mi lambiscono
l’aure del nuovo giorno.
Qui al riso invita garrula
l’onda del rio: sedea,
così cantando, il tenero
20abitator di Tea.
Fugaci i giorni passano,
odonsi appena l’ore:
e invan le Grazie piangono,
invan ne piange Amore;
25e fra i rimorsi inutili,
preda di stolti inganni,
invidiato fugge
l’ignoto stuol degli anni.
Chiede una trista vittima
30l’inesorabil Pluto,
e noi cessiam di vivere,
senza d’aver vissuto.
Ci frena irremeabile
Stige l’invito piede,
35e al pianto sordo il Fato
su della porta siede.
Finché la diva pallida
con l’arco non mi fere,
perché piú tardi albeggino
40le chiome, io vo’ godere.
Di questo fonte al tremolo,
soave mormorio,
vo’ premer, sospirando,
il sen dell’idol mio.
45Tronchi pur, muta ed invida,
lo stame allor la sorte:
fra gli amorosi palpiti
deluderò la morte.