Poesie (Fantoni)/Odi/Libro II/XXIX. A Fille. La pace
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XXIX
A Fille
La pace
(1788)
— Fille, perdonami: non son spergiuro,
Ti appressa... Ascoltami... Perché t’arresti?...
Cara, non piangere; son tuo: per questi
baci lo giuro.
Pria s’apra vindice sotto il mio piede
il suol, mi fulmini Giove sdegnato,
ch’io sia volubile, ch’io manchi, ingrato,
la data fede.
Te, amante e docile, solo desia
la mente, additami te sola il cuore;
per te famelica langue d’amore
l’anima mia.
La mano stringimi pietosa al petto:
come ardo e palpito senti; e, se puoi,
crudele, immemore de’ baci tuoi,
cangia d’affetto.
Che un altro, ahi barbaro! morda e consumi
quelle sempre umide labbra soavi;
che il sen di lividi solchi ed aggravi
di pianto i lumi;
i veli laceri, sparse le chiome,
nell’alte smanie del duol piú fiero:
allor ripetere t’udrò, lo spero,
Nice, il mio nome.
25Tempra la doglia: crudel non sono;
scorda quel perfido ch’io non somiglio:
vieni, consòlati, rasciuga il ciglio,
ch’io ti perdono. —
Dicea. Di minio tinse la faccia
Nice, ed, i languidi occhi coprendo,
lanciossi rapida, meco piangendo,
fra queste braccia.