Poesie (Fantoni)/Idilli/III. La solitudine

III. La solitudine

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III

La solitudine

     — Tacente solitudine profonda,
all’ombre amica, della valle sacra
al temuto silenzio e al mio dolore
regnatrice tranquilla, or che piú ardenti
5vibra i raggi dal ciel l’estivo sole
mi assido sopra quest’ignuda rupe,
a cui veggo le fosche errar d’intorno
immagini di morte e di spavento.
Rivo, che rompi la canuta spuma,
10nell’orror della grotta accheta il fiotto;
e voi, riscosse dal lottar dei venti,
sospendete il susurro, amiche frondi;
dal limaccioso sen della palude
non gracidi la rana, e su quell’alta
15quercia non gracchi il negro stuol dei corvi.
Solo dal salcio l’usignol dolente
dolce gorgheggi e, ricercando il lento
suono del pianto, il mio dolor secondi.
Forse, chi sa, che al par di me non pianga
20la perduta compagna e la tradita
candida fé, che nelle selve ancora
abita in petto dei pennuti amanti.
Dopo due lustri di feconde brame,
di corrisposta tenerezza, sparve
25la mia felicitá, qual sonno o grigia
nebbia, che in sul mattin disperde il vento.
L’ingrata Clori coronò di Meri,
di me piú ricco in numerar l’armento,
le nuove fiamme, ed obliò le sacre
30leggi di amor, e per lo ciel dispersi
i vani invendicati giuramenti.

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Sveller, dal mesto cuor, di lei non posso
l’usata imago, e cancellar le tante
care memorie, per cui sempre avranno
35cagion di pianto queste luci, stanche
di solcar, lagrimando, un tristo avanzo
d’un pria vivace giovanile aspetto. —
Disse ergendosi Tirsi, e intorno volse
dubbioso il ciglio, di pallor di morte
40tinta la fronte, ove pendea la curva
sassosa rupe, e la profonda valle
misurò con lo sguardo. I piè sospesi,
tese le braccia, e di lanciarsi in atto
piegò tre volte, e giá cadea dall’alto
45precipitando nella valle; quando
Aminta giunse, e il fuggitivo lembo
gli ghermí della veste. Al doppio crollo,
quasi dal sonno si riscosse, e in giro
voltò torbido il guardo, in terra meste
50fissò le luci, dal profondo seno
trasse un sospiro; delle amiche braccia
si fe’ sostegno, e con incerto passo
fe’ ritorno, piangendo, alla capanna.
Sei volte in ciel compì l’argenteo corso
55Cinzia, e di pianto ognor lo vide asperso,
e quando appare ad annunziar la notte,
e quando bianca di vergogna fugge
al nascer biondo del lucente giorno.
Ma, prive alfin d’umor, l’egre pupille
60chiuse pietoso un sempiterno sonno.
     I dolenti pastor di poca terra
il cenere coprîro, il caso acerbo
inciser su la rupe, e ancor l’addita
l’annoso sasso al passegger, che, carco
65di polve e di sudor, sotto la cheta
ombra riposa della grotta, e molce
l’edaci cure al solitario invito
de’ neri lecci, dove alberga muto
pigro silenzio e con la morte il sonno.
70O voi, pastori, a cui tenace il cuore
preme desio d’amor, prendete esempio

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dalla morte di Tirsi; e sulla fredda
pietra, ove giace, i mal donati affetti
cancellate dal cuor, pria che la sorda,
75dei mortal mietitrice, ingorda diva
del vostro pianto si alimenti, e strugga
le deluse dal ciel stolte speranze.