Poesie (Campanella, 1915)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/25. Al Primo Senno. Canzone III

25. Al Primo Senno. Canzone III

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25. Al Primo Senno. Canzone III
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CANZONE III

madrigale 1

Tanto senno have ogn’ente, quanto basta
serbarlo a sé, alla specie, al mondo; a cui
per tanto tempo è nato,
per quanto Dio ha ordinato
pel fato, a cui serviam di piú ch’a nui:
ond’altri in fior, altri in frutto, altri guasta
di noi nel materno alvo.
Come, per uso vario,
facciam pur noi dell’erbe,
cui pare ingiusto il nostro necessario;
cosí a noi, mentre s’offre or folto or calvo,
par che ragion non serbi
il fatal capo, che ’l mondo tien salvo.

Mostra ch’ogni ente ha tanto sapere, quanto basta a conservarsi per quanto tempo Dio conobbe esser utile alla spezie ed al mondo, a cui serve ogni parte; e non si può trappassare il fato divino, a cui serviamo piú che a noi. Onde, come noi mangiamo l’erbe in fiori o in frutti e quando ci piace, e questo pare ingiusto ad esse erbe, ché le uccidiamo e lor togliamo il seme e li figli: cosi il mondo per fato uccide noi, o bambini o fatti uomini o vecchi, secondo il bene del tutto; e questo ci par contra ragione, che’l fato ci mostra la fronte calva o crinuta, secondo gli piace per util del mondo. «Fronte caputala est, post haec occasio calva»; a che allude questa rima.

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madrigale 2

Cosa stupenda ha fatto il Senno eterno
ch’ogni ente, benché vil, non vuol cangiarsi
con altri; onde s’aiuta
contra ’l morir, che ’l muta;
ma vorria, e crede solo in sé bearsi,
ché ignora l’altrui ben, sape il suo interno.
O somma Sapienza,
che di nostra ignoranza
si serve a far ciascuno
felice e lieto, e l’universo avanza.
Gabbia de’ matti è il mondo; e, se mai senza
di follie fosse, ognuno
s’uccideria, anelando a piú eccellenza.

Dice che, se gli enti ignobili conoscessero l'esser de’ nobili, s’ucciderebbono per mutarsi in quelli, e ’l legno vorrebbe esser fuoco, e la terra, ed ogni corpo piú vile. Ma, perché per segreto senso sente se solo, ed ha il gusto del suo essere, ch’è partecipazion di divinitá, non vorrebbe mai morir e pensa bearsi solo nel suo essere. E però si vede che Dio, per farci vivere contenti, si serve dell’ignoranza nostra per quanto tempo gli piace che si serbi ogni ente. Dunque il mondo è gabbia de’ matti; e, se non fosse cosi, ognun s’ucciderebbe per migliorare. Ma, come matti, ci tegniamo esser piú che dèi. «Unicuique proprius olet crepitus», disse Plauto.

madrigale 3

La fabbrica del mondo e di sue parti
e delle particelle e parti loro;
le varie operazioni,
che han tutte nazioni

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degli enti nostri e del celeste coro;
vari riti, costumi, vite ed arti
de’ passati e presenti,
degli astri e delle piante,
de’ sassi e delle fiere;
tempi, virtuti, luoghi e forme tante;
le guerre e le cagion de gli elementi
noti chi vuol sapere,
ch’e’ nulla sappia, e non con finti accenti.

Mai l’uomo non può arrivar a dire: «unum scio, quod nihil scio», con veritá e non con umiltá falsa, se non quando averá saputo quanto contiene questo madrigale: perché da questo conosce che piú cose assai gli restano a sapere, e che queste neanche sa, perché vede tanto la sua ignoranza in esse, per la varietá e piccola penetrazione in loro, che s’accorge poi bene non veramente sapere. E questo è ’l sapere al quale può arrivare l’uomo perfettissimo, secondo la Metafisica dell’autore. E Socrate lo seppe. E san Paoloí disse: «Qui putat se scire, nondum novit quantum oporteat illum scire».

madrigale 4

Spirto puro e beato solo arriva
a sí saggia ignoranza; né può farsi
puro, chi non è nato
per colpa altrui o per fato.
Può di Natura il don piú raffinarsi
con gli oggetti e con l’arte educativa,
e farsi ampio e chiaro;
ma non leggier, di greve,
se di savi e di eroi
senno e forza ogni alunno non riceve.
Né si trasfonde, se fiacco ed ignaro
figlio fanno; onde puoi
considerare altronde don sí caro.

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Chi può arrivar a sapere che non si sa, è puro e beato di natural beatitudine. Però non si può questo sapere dalli altri, ma solo credere, perché non possono farsi lo spirto animale puro, che somministra all’anima infusa da Dio il sapere degli oggetti. Dice che l’arte e gli oggetti affinano il sapere e lo specificano, ma non lo generano, come pensò Aristotile; e questo è in Metafisica disputato. E, come tutti hanno tanto senno, quanto basta ad ubbidir la legge, ch’è sapienza del comune, e però non sono scusati gli impuri. Poi mostra che la sapienza non s’impara né si trasfonde per generazione, poiché gli figli e discepoli delli sapienti ed eroi non sono tutti sapienti e valorosi. Dunque è dono divino travasato per loro.

madrigale 5

La puritá natia dunque si tira
dall’armonia del mondo e d’ogni corda,
che vario suon disserra,
tesa in cielo ed in terra;
e chi sa ingenerarla, a lor s’accorda,
dove, onorato, Dio sua grazia aspira.
Oh felice soggetto,
degno di favor tale,
che Dio in lui di sé goda!
Poscia è felice chi tanto non vale,
se, ascoltando, s’unisce a quel perfetto.
Ma d’ogni ben si froda,
chi nato è impuro e schifa il saggio e schietto.

Assai difficile è a dire come dall’armonia del cielo e della terra e delli secondi enti co’ primi avviene la puritá dello spirto sensitivo, e come si può far generazione perfetta sotto certi luoghi e stelle e tempi, secondo che l’autore scrive nella Cittá del sole. E che Dio, onorato in cercar la sua grazia per ragion naturale da lui seminata, infonde il suo aiuto, ed unisce l’anima immortale a spirito puro, e fa uomini divini. E ch’egli è ottimo e purissimo, chi per sé tutto sa e quel, che non si sa, intende. A questo [p. 42 modifica]segue in grado chi crede al purissimo, ma chi non crede al savio e puro intelletto è disutile a sé ed agli altri. Ed Esiodo disse: «Optimus ille quidem», ecc. «Proximus», ecc. «At qui nescit», ecc.