Poesie (Antonio di Guido)/XIII
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Lasso! che farò io poi che quel sole,
che dar mi solea lume or mi si toglie?
Ond’io rimagno in tenebre confuso,
senz’arte e senza ingegno, e le parole
5son piene di sospir, di pianti e doglie,
tal ch’io mi doglio più che ’l moderno uso
poi ch’è coperto e chiuso
quel mirabil, lucente e chiaro viso,
nel qual già ’l paradiso
10veder mi parve; ond’io molto ero lieto,
sendomi ancor segreto
che questo dovea esser poco mèle
rispetto a l’incidente amaro fele.
O infelice mia misera vita,
15serìa possibil mai che pietade
tocchi di questa bella donna il core,
tal che riguardi meco la ’nfinita
e la penosa mia calamitade?
Ch’io sono, per servirla, in grande ardore.
20O trionfante Amore,
tòi quello stral che punse il cor d’Elèna,
fèri questa serena,
leggiadra donna, c’ha ’l cor d’un diamante,
qual con sue luci sante
25più ch’altro amante mi consuma e strugge,
e quanto più la seguo più mi fugge!
Reggi, Cupido, le tue pompe eccelse
e rompi e spezza questa dura petra,
come di Marte già le più forte armi,
30per quello stral che tra le fronde gelse
i duo amanti ferì, e per la cetra
ch’Orfeo sonò con suoi leggiadri carmi!
Arcier, se tu vuo’ atarmi,
breve sia l’opra; perché nuoce il tedio,
35né ho alcun rimedio;
s’esta candida donna in veste negra
non mi riguarda allegra,
Atropos tronca a Cloto il fil solenne
e son nell’inno mio giunto all’amenne.
40Era la vita mia, fa pochi giorni,
in mirabil dolcezza ed in tranquilla
pace, senza aspettar futura guerra.
É ora in tanti affanni, danni e scorni
e l’avversa fortuna arde e sfavilla
45e sono ’l più afflitt’uom che vive in terra;
ché, se la morte serra
la mia misera vita, donna altiera,
molto indomita e fiera
reputata serai verso ’l tuo servo,
50ch’a donna cor protervo
non si conviene. Adunque sii pietosa,
poi che ’l ciel fatta t’ha sì bella cosa!
Tocchite ’l cor pietà; di me t’incresca,
donna leggiadra, impera de le belle
55fatta a contemplazion de la natura!
Tu sai ché a tanto fuoco io son poca esca,
né giova il lampeggiar de le tue stelle,
ché ’n vita son aspra, noiosa e dura;
e per la pena dura
60son fatti gli occhi miei piangendo un Nilo.
Molto debile il filo
a chi s’atiene ancor la mia speranza;
ma pur quel che gli avanza
fia, donna, sempre in voi qual egli è ora,
65se avvien che di là mai non se ne mora.
Io giuro a quel signor ch’è ’n terza spera,
qual volge, qual governa, regge e guida
qual pare a lui li sentimenti umani,
massime al tempo de la primavera,
70quando par che la terra e l’aer rida,
fior, pesci, uccelli ed animal silvani,
che sempre a giunte mani
reverente starò al tuo pulcro obietto.
E se mai in fatto o ’n detto
75commetto alcuno error, l’ira di Dio
fulmini el corpo mio
con gli altri insieme ribelli al tuo segno,
se, madonna, mi fai di pace degno.
Natura vòl che la discrezíone
80adoperata sia da chi più intende
e conviensi al signor essere umìle;
e de’ pensar che la dominazione
sempre non sta, ch’è chi sale e chi scende,
e sol per le virtù l’omo è gentile.
85Deh, riprendi lo stile
pietoso, ch’io men vo com fa ’l baleno!
Io ardo e ho ’l foco in seno;
vo’ tu ch’io spiri per volerti bene?
Far ben non sòl dar pene,
90né vòl legge divina o naturale
che l’uom, facendo ben, receva male.
O lacrimosa mia canzone, andrai
a quella prezíosa pietra bella,
per la qual piango e rido, ardo e tremo,
95e, giunta a lei, t’inginocchiarai,
e con tremante e sommessa favella
li narrerai quanto il mio caso è stremo;
e diròle ch’io temo
di venirla a vedere; e, s’i’ mi volgo
100altrove, più mi dolgo,
perch’altra donna al mondo non mi piace.
Canzon, chiedeli pace;
e, se pace non hai, come ritorni,
giunta, finir vedrai tutti i miei giorni.