Platone in Italia/VIII. Di Cleobolo

VIII. Di Cleobolo

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VIII

Di Cleobolo

[Ritrovi della societá elegante tarantina — Saggio di discorsi — Tema preferito: dispregiar uomini e cose propri, per lodare ciò che è straniero — Filosofia dei parassiti.]

I tarantini amano moltissimo di radunarsi in taluni luoghi, ove passano ciarlando le migliori ore del giorno1. Essi dicono che vi si trattengono per non aver altro che fare. Felici coloro i quali non hanno che fare! Non ti parlo de’ mercatanti, che si radunano sul molo o sulla contrada degli «argentari»; non degli uomini di affari, i quali soglionsi riunir nel fòro e nella curia; non dei savi, i quali si riuniscon tra loro in luoghi anche piú segreti. Chi sono dunque coloro de’ quali ti parlo? Non sono uomini pubblici, non mercatanti, non agricoltori, non filosofi; ma son un poco di tutto. Se io dovessi descriverteli, userei le parole colle quali Alesside descrive Amore: «Egli non è né maschio né femmina, né dio né uomo, né stolto né savio: è un misto di tutto ed in un solo individuo presenta mille nature diverse»2.

Ne'luoghi ove si radunano costoro, accorrono molti venditori di vini antichi esquisiti e di altri liquori preziosi e di commestibili di ogni genere. Quivi vendono tutto ciò che, per [p. 36 modifica]esser cattivo, non venderebbero altrove, e ciò che è buono lo vendono a prezzo maggiore. I venditori di frutti nascondono sempre i piú cattivi: pochi eccellenti compariscono sopra. Un giovane si accosta: — Che bei frutti! — Dovrebbe esaminarli; ma l’amica ha detto che son belli: come contradire all’amica? Si comprano dunque all’ingrosso, e si pagan tutti per buoni3. Nel commercio entrano a calcolo tutte le passioni della vita umana.

Qui concorrono tutte le donne che voglion far conquista.

Vuoi tu il racconto di una conversazione tenuta in questo luogo? Vi eravamo io e Nearco. Eccoti cinque giovinetti delle principali famiglie di Taranto. Vi era con loro uno di quei parasiti nobili, i quali vivono alle spalle de’ giovani ricchi che adulano. Nearco li conosceva tutti.

— Addio, Nearco — disse Crollilo. — E cosí? Sei tu divenuto invisibile agli amici. —

Mnesterietto, sorridendo: — Non sapete che il nostro Nearco è divenuto fdosofo? E questo buon ateniese, suo amico e mio. è un filosofo anch’egli... —

Passa intanto una donnetta. — Addio, Isostasietta! — e tutti le corron dietro. — Cos’è mai? Non ti tratterrai tu oggi un momento con noi?

— Oh! per me, oggi non posso. Son passata di qui per taluni miei affari, e vado via subito... Son tutta disadorna.

— Voi siete sempre bellissima.

— Io veramente non son poi come... Vado alla buona. Ma. vedete, una certa decenza... una certa decenza... Che ne dite. Nearco? —

CORBILO. Via, via: voi siete sempre cara. Trattenetevi: bevete con noi un bicchiero di vino... Ehi! ragazzo: recaci del vino, ma che sia ottimo, sai! Recaci anche delle ostriche... del salame di Lucania... Nearco e quel suo amico ci accorderanno la grazia di trattenersi con noi, non è vero? [p. 37 modifica]

Ci sembrò decente accettare l’invito. Sediamo intorno ad una piccola mensa che si era preparata. Isostasietta volle sedere tra noi due.

— Oh! sederai ben male — disse Mnestero — in mezzo a due filosofi.

— Anzi i filosofi mi piacciono molto — rispose ella. — Ho inteso dir tanto bene di un tal filosofo chiamato Aristippo. Si dice che sappia cosí bene amar le donne. Mi si è parlato della fortuna che con lui ha fatta la vostra Laide, e quasi son tentata a partir da Taranto per andare a vedere Aristippo. —

MNESTERO. Ed a conquistarlo?

— E perché no? Non sono io donna come Laide? Vi dico: avrei un desiderio ardentissimo di conquistare un filosofo, un generale, un governator di cittá, come il vostro Pericle: ci va dell’amor proprio... Questi nostri tarantini, generali, filosofi, magistrati, son tutti rozzi... Oh! per me, io l’ho detto sempre: perdonate, nobilissimi tarantini, la mia franchezza: ma gli stranieri sono altra cosa.

CROBILO. E chi può negarlo? Finanche il loro linguaggio è piú grazioso. Ier l’altro mio zio, il quale è in letto ammalato per gotta, fu visitato da un medico di Tracia. Era un piacere udirlo parlare. Invece di ordinare «un bicchiero di tisana», ordinava «una tisana ed un bicchiero»; noi didamo «bieta», ed egli pronunziava «peta»4. Non vi pare che la sua sia una pronunzia piú dolce?... A proposito, ragazzo, recaci de’fichi di Attica: questi di Taranto si credono eccellenti, ma non sanno di navigato. E recaci anche del vino di Grecia. TI vino di Taranto è bello e buono, soave alla bocca, utile allo stomaco, ma è poco fumoso e non dá in testa5: che ne dici tu, Cleobolo?

— Io trovo i fichi di Taranto eccellenti quanto quelli di Atene, e gli uomini di Atene stolti quanto quelli di Taranto. [p. 38 modifica]Da per tutto si acclamano gli stranieri e si sprezzano i compatrioti ed i vicini: nello stesso giorno vogliamo ora brodi bianchi, ora neri; nello stesso momento si vuol bere e caldo e freddo: si ricusa di gustar colle labbra un vino che sia un poco raspante ed addetto al gusto, e poi si compone l’absirtaca di porro, nasturzio ed acini di melagranata, e si sorbilla come bevanda deliziosa. Che vuoi fare? Tale è la natura dell’uomo. —

CROBILO. Ehi! ragazzo, altro vino.

ISOSTASIETTA. Bravo Cleobolo! da vero filosofo... Cosí ini piacciono gli uomini. Dimmi. Cleobolo: vi son molte filosofanti nel vostro paese?

— Non ne mancano. —

MNESTERO. Vedi Bacchilide, che passa sotto il portico del tempio di Nettuno?

ISOSTASIETTA. La vedo. Chi sa die andrá facendo? Pure non dovrebbe esser molto lieta: il suo amante l’ha abbandonata... Era un amante molto tenero e molto ricco.

CROBILO. Io so die era pieno di debiti.

MNESTERO. 1 suoi cavalli però erano i piú belli di Taranto.

AGIRIPPO. Io non cangerei i miei coi suoi.

ISOSTASIETTA. Dunque, caro Cleobolo, ritorniamo al primo discorso. Io voglio venire in Atene, voglio studiar filosofia. Che ti pare? potrei riuscirvi?... Qual è la parte piú bella della filosofia?... quale è la parte piú facile?... —

II parasito, che fino a quel punto non avea aperta bocca se non per mangiare: — E finiscila — incominciò, — finiscila, cara la mia Isostasietta, con queste tue filosofiche ciance. Io non so che ci trovi di bello. Beviamo, beviamo un’altra volta, e poi un’altra ed un’altra; beviamo sempre; viviamo contenti, e non c’imbarazziamo di nulla. La mia filosofia è tutta in una buona mensa: essa mi è madre, mi è padre, mi è tutto. Virtú, doveri, eccelsi gradi, ambascerie, comandi di eserciti, non hanno nulla di reale, e svaniscono come un fumo in seno del nulla. Tra poco verrá l’ora della morte, amici miei, e non ci troveremo altro che quello che avremo mangiato... [p. 39 modifica]Ragazzo, recami qualche altra cosa: io ho fame ancora. Recami una placenta.

— Come la vuoi? tarantina, crasiana. sicula, pauliana?6

— Recamene di ogni sorta. —

  1. I tarantini erano solenni ciarlieri.
  2. ALESSIDE, in Fedro, ap. ATENEO.
  3. Lo stesso Alesside, nella Caldaia.
  4. Fregmenta veterum comico rum.
  5. ATENEO, libro I
  6. Gli antichi conoscevano moltissime specie di placenta. Vedi ATENEO, XV.