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VII - DI CLEOBOLO 37


Ci sembrò decente accettare l’invito. Sediamo intorno ad una piccola mensa che si era preparata. Isostasietta volle sedere tra noi due.

— Oh! sederai ben male — disse Mnestero — in mezzo a due filosofi.

— Anzi i filosofi mi piacciono molto — rispose ella. — Ho inteso dir tanto bene di un tal filosofo chiamato Aristippo. Si dice che sappia cosí bene amar le donne. Mi si è parlato della fortuna che con lui ha fatta la vostra Laide, e quasi son tentata a partir da Taranto per andare a vedere Aristippo. —

MNESTERO. Ed a conquistarlo?

— E perché no? Non sono io donna come Laide? Vi dico: avrei un desiderio ardentissimo di conquistare un filosofo, un generale, un governator di cittá, come il vostro Pericle: ci va dell’amor proprio... Questi nostri tarantini, generali, filosofi, magistrati, son tutti rozzi... Oh! per me, io l’ho detto sempre: perdonate, nobilissimi tarantini, la mia franchezza: ma gli stranieri sono altra cosa.

CROBILO. E chi può negarlo? Finanche il loro linguaggio è piú grazioso. Ier l’altro mio zio, il quale è in letto ammalato per gotta, fu visitato da un medico di Tracia. Era un piacere udirlo parlare. Invece di ordinare «un bicchiero di tisana», ordinava «una tisana ed un bicchiero»; noi didamo «bieta», ed egli pronunziava «peta»1. Non vi pare che la sua sia una pronunzia piú dolce?... A proposito, ragazzo, recaci de’fichi di Attica: questi di Taranto si credono eccellenti, ma non sanno di navigato. E recaci anche del vino di Grecia. TI vino di Taranto è bello e buono, soave alla bocca, utile allo stomaco, ma è poco fumoso e non dá in testa2: che ne dici tu, Cleobolo?

— Io trovo i fichi di Taranto eccellenti quanto quelli di Atene, e gli uomini di Atene stolti quanto quelli di Taranto.

  1. Fregmenta veterum comico rum.
  2. ATENEO, libro I