Pescatori d'Islanda/Parte II/Capitolo I

Capitolo I

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Pierre Loti - Pescatori d'Islanda (1886)
Traduzione dal francese di Carlo De Flaviis (1911)
Capitolo I
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PARTE SECONDA


Capitolo Primo.

Il sole d’Islanda aveva cambiato di aspetto e di colore; ed apriva questa nuova giornata con un mattino sinistro. Liberato del suo velo, proiettava dei grandi raggi, che attraversavano il cielo annunziando bufera.

Il vento soffiava su i battelli come provando il bisogno di sparpagliarli, di sbarazzarne il mare, ed essi cominciavano a disperdersi, a fuggire sotto l’incubo della minaccia.

Il vento soffiava sempre più forte, facendo rabbrividire gli uomini ed i navigli.

Le ondate ancora lievi, si ripetevano frequenti levandosi in schiuma bianca; non si pensava più alla pesca, ma solamente alla manovra. Le canne erano da molto tempo rientrate. Tutti si affrettavano ad andarsene; gli uni per cercare riparo, gli altri preferendo di passare la punta del sud d’Islanda, trovando più sicuro di prendere il largo e di avere davanti a loro lo spazio libero per filare col vento indietro. Si vedevano ancora un poco gli uni con gli altri; qua e là nel concavo delle onde, delle vele, sorgevano, povere, piccole cose bagnate, affaticate, fuggenti. La grande massa di nuvole, addensate all'orizzonte dell’ovest si disfaceva; essa sembrava inesauribile: il vento la stendeva, l’allungava, la rendeva più minacciosa, oscura, la spiegava nel chiaro del cielo, divenuto livido, freddo e spettrale.

L’incrociatore era partito per i ricoveri d’Islanda, i pescatori restavano soli sul mare che assumeva un’aria [p. 40 modifica]spaventevole. Essi si affrettavano per difendersi dal cattivo tempo. Tra loro le distanze aumentavano, si perdevano rapidamente di vista. Le onde increspate continuavano a corrersi dietro, a riunirsi, ad aggrapparsi le une alle altre per diventare sempre più alte, scavando vuoti sempre più profondi.

Da qualche ora tutto era sconvolto in questa regione così calma il giorno prima, e il silenzio si era trasformato in un clamore infernale.

Le nuvole finivano di spiegarsi nell’aria, venendo sempre dall’ovest, sovrapponendosi rapidamente, oscurando tutto.

A mezzogiorno la Maria aveva del tutto presa la sua andatura di cattivo tempo; i suoi boccaporti chiusi e le vele ripiegate, andava molle e leggera, in mezzo al disordine degli elementi. In alto il ciclo era diventato interamente scuro; quasi una volta chiusa, schiacciante, con una tinta di carbone che qua e là stendeva delle macchie informi, sembrava una cupola immobile; grandi masse grige si affrettavano a passare, rimpiazzate, incessantemente, da altre che venivano dal fondo dell’orizzonte, tinture di tenebre aggomitolandosi come un rotolo senza fine... La Maria fuggiva come fosse inseguita dagli spettri, saliva per la forza delle ondate, senza scosse, come se il vento l'avesse portata, e la sua ridiscesa si assomigliava a quel sussulto che si prova nelle cadute simulate o in quelle immaginarie dei sogni. Ogni ondata ne portava dietro un’altra più grande, che si drizzava tutta verde, avendo quasi fretta di avvicinarsi furiosa, come se dicesse: «Aspetta che io ti prenda e t’inghiotti» .

.... Tutta questa tenebrosa ridda di elementi si accelerava sotto un cielo sempre più nero, in mezzo ad uno strepito sempre più assordante...

Bisognava vegliare; la Maria, quell’anno, aveva passato la sua stagione nella parte più occidentale delle peschiere d'Islanda; questa fuga nell’Est dunque rappresentava buona parte di strada fatta per il ritorno. [p. 41 modifica]Yann e Silvestro erano attaccati alla sbarra per la cin tura. Essi cantavano ancora la canzone Jean - Francois de Nantes; inebbriati del fremito delle onde; cantavano a piena voce, divertendosi a girare la testa por cantare contro il vento e prendere flato.

— Ebbene, fanciulli, si affonda? — Domandò loro Guermeur, passando la sua fisonomia barbuta dal boccaporto, mezzo aperto, come un diavolo pronto ad uscire dalla sua scatola. Oh! no! Essi non avevano paura di affondare, fidavano nella solidezza del loro battello, nella forza delle loro braccia, ed anche nella protezione della Vergine di maiolica che, in quarant’anni di viaggi in Islanda, aveva ballata tante volte quella lugubre danza, sempre sorridente impassibile.

Jean-François de Nantes;
     Jean-François!
     Jean-François!

Ci si vedeva poco d’intorno; a qualche centinaio di metri tutto sembrava finire in un funebre spavento, tutto appariva annegato in questa specie di fumo d’acqua che fuggiva in nube, con estrema sveltezza, su tutta la superficie del mare.

Di tanto in tanto però, un clamore si faceva verso il nord-est, un clamore assordante che usciva dalle cose come un preludio di Apocalisse, minacciando lo spavento della fine del mondo. E si distinguevano migliaia di voci: dall’alto ne venivano delle fischianti o profonde, che sembravano quasi lontane a furia di essere immense; era il vento, la grande anima di questo disordine, la potenza invisibile e sterminatrice. Faceva paura, ma si avvertivano altri rumori più vicini, più materiali, più minacciosi. Le ondate si facevano sempre più alte e cadevano come pesanti masse sul ponte con uno strepito assordante ed allora la Maria vibrava tutta di dolore e di angoscia. Una grossa pioggia [p. 42 modifica]che era sopraggiunta, passava così in linea orizzontale, e questo insieme soffiava, solcava, feriva atrocemente. Essi restavano tutti e due alla sbarra, attaccati e tenendosi fermi, vestiti delle loro incerature che erano dure e lucenti come pelle di pesce-cane; le avevano ben strette al collo con delle cordicelle incatramate, strette anche fortemente ai polsi ed alle caviglie per non lasciar passare l'acqua. La pelle delle loro guance bruciava ed essi avevano la respirazione corta. Dopo ogni grande massa di acqua caduta, si guardavano sorridendo a causa di tutto quel sale ammassato nelle loro barbe. In breve però quella lotta aspra doveva diventare una fatica estrema. Il furore degli uomini e delle bestie si esaurisce presto - bisogna subire invece lungamente quello delle cose inerti, furore senza meta, misterioso forse come la vita o la morte.

Jean-François de Nantes;
     Jean-François!
     Jean-François!

Lo loro labbra ripetevano ancora il ritornello, ma fiocamente. L'eccesso di movimento o di strepito li aveva resi ubbriachi, i loro occhi sotto le palpebre brucianti, restavano fissi in una atonìa selvaggia. Ribaditi alla loro sbarra compirono la faticosa manovra meccanicamente, essi non si vedevano più. Erano solamente coscienti di essere affianco l’uno dell'altro, non pensavano più, nè a Gaud, nè ad alcuna donna: nè ad alcun matrimonio; sembravano trasformati in due colonne di carne, irrigidite, quasi simili a due bestie vigorose aggrappate per istinto ad un ultimo e tenuissimo filo di vita.