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Yann e Silvestro erano attaccati alla sbarra per la cin tura. Essi cantavano ancora la canzone Jean - Francois de Nantes; inebbriati del fremito delle onde; cantavano a piena voce, divertendosi a girare la testa por cantare contro il vento e prendere flato.

— Ebbene, fanciulli, si affonda? — Domandò loro Guermeur, passando la sua fisonomia barbuta dal boccaporto, mezzo aperto, come un diavolo pronto ad uscire dalla sua scatola. Oh! no! Essi non avevano paura di affondare, fidavano nella solidezza del loro battello, nella forza delle loro braccia, ed anche nella protezione della Vergine di maiolica che, in quarant’anni di viaggi in Islanda, aveva ballata tante volte quella lugubre danza, sempre sorridente impassibile.

Jean-François de Nantes;
     Jean-François!
     Jean-François!

Ci si vedeva poco d’intorno; a qualche centinaio di metri tutto sembrava finire in un funebre spavento, tutto appariva annegato in questa specie di fumo d’acqua che fuggiva in nube, con estrema sveltezza, su tutta la superficie del mare.

Di tanto in tanto però, un clamore si faceva verso il nord-est, un clamore assordante che usciva dalle cose come un preludio di Apocalisse, minacciando lo spavento della fine del mondo. E si distinguevano migliaia di voci: dall’alto ne venivano delle fischianti o profonde, che sembravano quasi lontane a furia di essere immense; era il vento, la grande anima di questo disordine, la potenza invisibile e sterminatrice. Faceva paura, ma si avvertivano altri rumori più vicini, più materiali, più minacciosi. Le ondate si facevano sempre più alte e cadevano come pesanti masse sul ponte con uno strepito assordante ed allora la Maria vibrava tutta di dolore e di angoscia. Una grossa pioggia