Pensieri e discorsi/L'Eroe italico/XI
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XI.
E io ti chiedo perdono, o morto eroe, di farmi interprete di ciò che mi pare il tuo pensiero, sfrondato, per così dire, di quel rigoglio di parole cui fece germinare il calore dell’azione. Io non ho accettato di parlare di te, se non costretto; e non ho parlato per metterti indosso un paludamento di frasi: a te basta la tua camicia rossa. Ho detto ciò che m’è sembrato dovere.
Io sento fierissimo dentro me il contrasto delle due anime; e ho chiesto a te l’ispirazione per trovar pace nel cuore e unità nel pensiero. E tu mi hai additato — anche tu lasciasti, come Napoleone (quanto simile e diverso!) un aquilotto: un figlio morto giovane, alto, esile e mesto — e tu mi hai additato il figlio della tua solitudine, Manlio.
“In lui„ mi pareva che tu mi dicessi “in lui guarda, e guarda come fa e pensa lui, e avrai la pace e conoscerai la via. Ebbene Manlio, col cuore pieno delle aspirazioni e rivendicazioni dei lavoratori del mondo, navigava sulle torpediniere dell’Italia. Navigava, ora non naviga più; l’aquilotto dorme vicino alla grande aquila. Dorme, l’incolpabile giovane; cui nè i popolari saprebbero rimproverare di non essere puro, nè il re, di non esser fedele.
Nell’isola solitaria l’eroe non è più solo con le due bambine. Anche Manlio è con lui. E il mare s’alza e s’abbassa, e torna ad alzarsi con metro perenne per chiamare il giovane, se il vecchio non vuole più saperne di navigazione e di vita. Ma nemmeno il bello, alto, esile figlio dell’eroe, può rispondere. Sonno eterno, mare eterno. O giovani, rispondete voi al grande mare. Non siete voi tutti figli dell’eroe?
Fate d’essere tali che s’egli tornasse, potesse trovare in voi i volontari da condurre alle sue postume imprese; fate di poter essere i Mille dell’avvenire.
Un tempo egli chiedeva un milione di fucili. Il milione di fucili c’è. Ora chiederebbe un milione di coscienze. Siate questo milione di coscienze, non offuscate dalla passione, non irrigidite da partiti presi, non assordate da frasi fatte.