Pensieri e discorsi/Il fanciullino/XVIII

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XVIII.


Dunque... Ma intendo. Tu non aspiri alla gloriola, ma alla gloria; e così distingui, come se la gloriola fosse tra i vivi, e la gloria dopo morte. Non voglio dirti (le tue illusioni mi sono care), non voglio dirti che dopo morte non sentiremo nulla, di ciò che si dice di noi. Sentirò o almeno sentirai: non rabbuiarti. Ma sentirai belle cose? Qui sta il punto. Prima di tutto: diranno nulla? Si ha fretta, ai nostri giorni, di vivere; e le visite ai camposanti fanno perder tempo. Ci si assorda, ai nostri giorni, con la nostra vita; e non è possibile udire lo stridìo leggiero delle ombre. I morti, ai nostri giorni, non contano più. Un poeta disse che il dì della morte era il dì della lode; ma il detto, pochi anni dopo che fu detto, non era più vero; e il Prati stesso lo sa, se nel sepolcro qualcosa si sa! E questo oblìo che preme subito i morti, non è, quanto ai letterati, senza ragione e senza giustizia. Noi letterati vogliamo in vita occupar troppo il mondo di noi. Se stessimo nel nostro angolo, se non ci sbracciassimo tanto nel mezzo della gente, se non vociassimo tanto, non avverrebbe questo compenso di silenzio dopo morte. Dunque, diranno nulla di te? E se mai, diranno bene e giusto? O credi che, allora sarà cessata la mania della classificazione, l’artifizio della suggestione, la cecità del partito e della setta? Vedi: spesso i morti sono disturbati nel loro riposo, e tratti fuori per dare addosso ai vivi. Spessissimo. L’invidia sai in che forma si esercita per lo più. Tu dài a uno la debita lode in presenza d’alcuno. Questi conferma breve: poi a lungo si volta a lodare [p. 52 modifica]un altro, il quale può essere inferiore o superiore al tuo lodato, ma quasi sempre è morto. Ora tu, fanciullo, vorresti essere disseppellito a questo fine? Poichè sarai un’ombra, avresti piacere d’esser adoperato a far ombra a qualche buon fanciullo saldo, che viva e canti? Questo non ti piacerebbe: meglio dormire dimenticato. È meglio esser morto tutto, che continuare a comparire avanti i tribunali ad essere giudicato e classificato: tanto più, che i giudici si trasmettono, cursori che stanno eternamente fermi, le fiaccole de’ loro giudizi.

Tu non vuoi giudizi: vuoi commozione, vuoi assenso, vuoi amore; e non per te, ma per la tua poesia. Ebbene morto che tu sia, se la tua voce fu pura, se fu la voce dell’anima e delle cose, non l’eco, o più fioca o più forte, d’altrui voce; ebbene codesta voce sarà inavvertita, quando non sia dimenticata. In vero se è spesso ripetuta, come forse è ragione, si fonderà col tempo, non so se nel silenzio o rumore circostante: come il cinguettìo delle rondini sotto la tua grondaia, che quando è un pezzo che lo senti, non lo senti più...

Tu vuoi parlare? Aspetta: non ho finito.

A ogni modo perchè dovrebbe essere altrimenti? Che cosa fai tu, veramente, che sia degno di lode e di gloria? Tu ridi, tu piangi: che merito in ciò? Se credi d’averci merito, è segno che ridi e piangi apposta: se lo fai apposta, non è poesia la tua: se non è poesia, non hai diritto a lode. Tu scopri, s’è detto; non inventi: e ciò che scopri, c’era prima di te e ci sarà senza te. Vorresti scriverci il tuo nome su? Ti adiri, che ti vogliano giudicare e anche premiare per quello che non è se non la tua natura e la tua manifestazione di vita. Dunque che importa a te del nome?