Pensieri e discorsi/Antonio Mordini in patria/Introduzione
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Eccolo dunque ai piedi del cedro del Libano: puro spirito bensì, ma a cui la divina arte del Romanelli diede un corpo visibile e ammirabile per secoli e secoli. Egli è ritornato alla sua terra, nè già da Firenze, da aver sommosso a libertà il popolo; nè già da Palermo, da avere esercitato l’antico imperio repubblicano; nè già da Napoli, in cui fosse entrato trionfalmente col Re e con l’Eroe; nè già da Roma, dove avesse e consigliato e giudicato per il bene della nuova Italia; non da una condanna, non da un esilio; non da una battaglia, non da una rivoluzione: egli ritorna da luoghi più lontani e da più solenne avvenimento; ritorna dalla morte. Nel sacro silenzio della morte risuonano distinte, tanto è alto quel silenzio, le voci impercettibili d’un severo e sereno giudizio. Ora le coscienze de’ suoi conterranei e dei suoi connazionali, della sua patria e del suo re, hanno richiamato dalla morte Antonio Mordini, e gli hanno detto: Vieni, e siici esempio!
Ed egli è venuto; ed eccolo a’ piedi del cedro; sul bastione, di fronte al fosso; e lo circondano il fosco Apennino e le cerulee Panie, tra cui si snoda il Serchio che corre rapido come per la impazienza di fare il bene, e brontola in corsa come per il malumore che non si veda ancora tutto il bene che può fare. E si affolla in conspetto al reduce, più grande che uomo, una moltitudine varia e concorde, dove si possono ravvisare, tra i noti visi degli abitanti delle due storiche terre gemelle, Barga e Coreglia, tra i robusti Gallicani e i solerti Bagnaioli, il pensoso pastore delle nostre Alpi e l’arguto navicellaio del nostro Tirreno, l’ispido cavatore della pittoresca Garfagnana e il sapiente agricoltore della fertile Lucchesia. Nè manca, con onorevoli deputati e senatori e magistrati provinciali e comunali, il Governo del Re nella persona d’un uomo altamente benemerito, che dà, alla festa di gratitudine e d’amore della Val di Serchio, il visibile carattere di solennità dell’Italia intera.