Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4323
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Ma quello in cui la mia ragione non può trovare una probabilità, non solo nel caso di Omero, ma né anche in quelli di Ossian e di qualunque altro si possa addurre in proposito, è che dei canti, certo in ogni modo assai lunghi, improvvisati, per esempio a un convito o ad una festa pubblica, in mezzo a gente ubbriaca o dal vino o dalla gioia ec., da un poeta, forse ancor esso οὐ νήφοντος in quel momento, e ciò in un secolo privo di stenografi e di tachigrafi; dei canti che, secondo ogni verisimiglianza, dovevano esser dimenticati dal poeta stesso un momento dopo, anzi di mano in mano che li proferiva; si sieno, non solo quanto al soggetto, ma quanto alle parole, conservati nella memoria semplice degli ascoltanti, in maniera che trasmessi poi fedelmente di bocca in bocca per piú secoli, distinti ben bene ne’ loro versi (ritmici o metrici poco vale), ora dopo trenta secoli si leggano begli e stampati in milioni d’esemplari, che li conserveranno ai futuri secoli in perpetuo. Apparentemente il Müller, che pone Omero nel secondo secolo dalla guerra troiana, (vedi p. 4330, capoverso 3) non riconosce nelle cose e nelle parole dell’Iliade e dell’Odissea, quei segni di avanzatissima civiltà e letteratura ionica o greca, che a tanti altri (come ultimamente a Gino Capponi) sono sembrati cosí evidentissimi, certissimi ed innumerabili. Altrimenti come si potrebbe credere che quei poemi, da Omero o da altri, non fossero scritti subito? che l’uso della scrittura fosse ignoto o sí scarso in una letteratura e civiltà innoltratissima? come supporre sopra tutto una fiorente letteratura non scritta?
Ma se il Müller vuol persuadermi che i poemi d’Omero non