[p. 116 modifica] che l’altra. Riconosciuta la impossibilità tanto dell’esser felice, quanto del lasciar mai di desiderarlo sopra tutto, anzi unicamente; riconosciuta la necessaria tendenza della vita dell’anima ad un fine impossibile a conseguirsi; riconosciuto che l’infelicità dei viventi, universale e necessaria, non consiste in altro né deriva da altro, che da questa tendenza, e dal non potere essa raggiungere il suo scopo; riconosciuto in ultimo che questa infelicità universale è tanto maggiore in ciascuna specie o individuo animale, quanto la detta tendenza è piú sentita; resta che il sommo possibile della felicità, ossia il minor grado possibile d’infelicità, consista nel minor possibile sentimento di detta tendenza. Le specie e gl’individui animali meno sensibili, men vivi per natura loro, hanno il minor grado possibile di tal sentimento. Gli stati di animo meno sviluppato, e quindi di minor vita dell’animo, sono i meno sensibili, e quindi i meno infelici degli stati umani. Tale è quello del primitivo o selvaggio. Ecco perché io preferisco lo stato selvaggio al civile. Ma incominciato ed arrivato fino a un certo segno lo sviluppo dell’animo, è impossibile il farlo tornare indietro, impossibile tanto negl’individui che nei popoli l’impedirne il progresso. Gl’individui e le nazioni d’Europa e di una gran parte del mondo hanno da tempo incalcolabile l’animo sviluppato. Ridurli allo stato primitivo e selvaggio è impossibile. Intanto dallo