<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4071&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20161208070720</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4071&oldid=-20161208070720
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 4071 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 449modifica] oggetti, rivolgiamo seriamente l’odio e le querele delle nostre sventure. Ma molto piú dolce fu agli antichi ed è a’ moderni l’incolpare qualche cosa sensibile, e massime qualche altro uomo, non solo per la maggior verisimiglianza, e quindi facilità di persuaderci della sua colpa, che è quello che ci bisogna, ma piú ancora perché l’odio e le querele sono piú dolci quando si rivolgono sopra cose presenti che ne possano essere testimoni, e sottoposte alla vendetta che noi con esso odio vano e con esse vane querele intendiamo fare di loro. Massimamente poi è dolce l’odio e il lamento quando è rivolto sui nostri simili, sí per altre cagioni, sí perché la colpa non può veramente appartenere se non a esseri intelligenti. Quelli che ci governano sono da noi facilmente scelti a far questa persona di rei de’ nostri mali, che non hanno altro reo manifesto o [p. 450modifica]accusabile, e a servir di soggetto e scopo della vana vendetta che ci è dolce fare de’ medesimi mali. Essi sono in fatti in tali casi i piú adattati, e quelli di cui ci possiamo dolere esteriormente e interiormente con piú di verisimilitudine. Quindi è che chi governa in pubblico o in privato è sempre oggetto d’odio e di querele de’ governati. Gli uomini sono sempre scontenti perché sono sempre infelici. Perciò sono scontenti del loro stato, perciò medesimo di chi li governa (essi sentono e sanno bene di essere infelici, di patire, di non godere, e in ciò non s’ingannano. Essi pensano aver diritto di esser felici, di godere, di non patire, e in ciò ancora non avrebbero il torto, se non fosse che in fatto questo che essi pretendono è, non che altro, impossibile).