Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3972
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* Risulta da quello che in piú luoghi si è detto circa la natura di una lingua atta (massime ne’ nostri tempi) veramente alla universalità, che ella non solo non può esser piú delle altre lingue capace di traduzioni, di assumer l’abito dell’altre lingue, o tutte o in maggior numero o meglio che ciascun’altra, di piegarvisi piú d’ogni altra, di rappresentare in qualunque modo le altre lingue; ma anzi ella dev’essere per sua natura l’estremo contrario, cioè sommamente unica d’indole, di modo ec. e sommamente incapace d’ogni altra che di se stessa, ed in se stessa minimamente varia, e da se medesima in ogni caso il men che si possa diversa. E una lingua che tenga l’estremo contrario è di sua natura, massime a’ tempi nostri, estremamente incapace dell’universalità. Non bisogna dunque figurarsi che una lingua universale né debba né possa portare questa utilità di supplire alla cognizione di tutte le altre lingue, di esser come lo specchio di tutte l’altre, di raccoglierle, per cosí dir, tutte in se stessa, col poterne assumer l’indole ec.; ma solo di servire in vece di tutte le altre lingue, e di esser loro sostituita. Anzi ella non può veramente altro ch’esser sostituita all’uso dell’altre e di ciascuna altra, e non supplire ad esse ec. Ben grande sarebbe quella utilità, ma essa è contraria direttamente alla natura di una lingua universale. Tale si è infatti la francese. Né i francesi dunque né gli stranieri si lusinghino di avere in quella lingua tutto ciò che potrebbero avere nell’altre, ma una lingua diversissima per sua natura dall’altre, il cui uso a quello di tutte l’altre possono facilmente sostituire. Né stimino che volendo conoscer