<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3847&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20161209072949</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3847&oldid=-20161209072949
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 3847 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 230modifica] cioè con una successione continuata e non interrotta di atti, tanto piú vivi, quanto il detto sentimento è attualmente o abitualmente maggiore. Sempre e in ciascuno istante ch’egli ama attualmente se stesso, egli desidera la sua felicità, e la desidera attualmente, con una serie continua di atti di desiderio, o con un desiderio sempre presente, e non sol potenziale, ma posto sempre in atto, tanto piú vivo, quanto ec. come sopra. Il vivente non può mai conseguire la sua felicità, perché questa vorrebb’essere infinita, come s’é spiegato altrove, e tale ei la desidera; or tale in effetto ella non può essere. Dunque il vivente non ottiene mai e non può mai ottenere l’oggetto del suo desiderio. Sempre pertanto ch’ei desidera, egli è necessariamente infelice, perciò appunto ch’ei desidera inutilmente, esclusa anche ogni altra cagione d’infelicità; giacché un desiderio non soddisfatto è uno stato penoso, dunque uno stato d’infelicità. E tanto piú infelice quanto ei desidera piú vivamente. Non v’é dunque pel vivente altra felicità possibile, e questa solamente negativa, cioè mancanza d’infelicità; non è, dico, possibile al vivente il mancare d’infelicità positiva, altrimenti che non desiderando la sua felicità, né per altro mezzo che quello di non bramar la felicità. Ma sempre ch’ei si ama, ei la desidera; e mentre ch’ei sente di esistere, non può, né anche per [p. 231modifica]un istante, cessare di amarsi; e piú ch’ei sente di esistere, piú si ama e piú desidera. Il discorso dunque della felicità umana e di qualunque vivente si riduce per evidenza a questi termini e a questa conclusione. Una specie di