Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3540
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di quel danno ch’è subbietto di ciò che propriamente si chiama timore e timidità, viltà ec., non di quello ch’è materia solamente di afflizione, dispiacere, cordoglio ec. o dubbiosamente o certamente aspettato ch’ei sia (nel qual caso questo dispiacere suole altresí chiamarsi timore), o ricevuto e presente ec.
Il passato discorso spetta ai pericoli (o danni ec.) inevitabili e non dipendenti dalla volontà de’ rispettivi individui. Il coraggio d’affrontare o cercare i pericoli volontariamente e potendo a meno, procede per lo piú e principalmente da natura o abito d’irriflessione o di non riflettere profondamente; ovvero dal non curare il pericolo, cioè non considerar come male, o come assai piccolo e spregevol male, il danno che ne potrebbe seguire (ancorché tenuto generalmente grandissimo o sommo dagli uomini), il che viene a esser quanto non riguardare il pericolo come pericolo o dal non credere che questo danno ne possa o debba facilmente o in niun modo seguire, il che torna il medesimo. Questo coraggio non ha che far colla idea del perfetto coraggio da noi proposta; il quale impedisce di temere il pericolo o il danno: 1o, riguardato com’effettivo danno e pericolo; 2o, perfettamente conosciuto, compreso e considerato. Queste condizioni sono essenziali al perfetto, anzi al vero e proprio coraggio; e quel che n’è senza, o non è propriamente coraggio o imperfetto ec. (26-7 settembre 1823).