Penombre/Vespri/La festa e l'alcova

Vespri

XVII.
LA FESTA E L'ALCOVA

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XVII.


LA FESTA E L'ALCOVA





Ella era nuda come un fior d’Iddio
Liberamente nei campi sbucciato;
Però pel ballo si adornava, ed io
Le stava allato.

5Creature del cielo, angeli belli,
Io credo che se mai lassù piangete,
Gli è quando nei tessuti e nei gioielli
Eva scorgete.

Pensate il mio dolore: eran profili
10Fatti per suscitare estasi e incubi;
Fini, soavi, candidi, gentili,
Parevan nubi,

Vaghe nubi sbucciate a ciel sereno!...
Vidi arrivar la bianca camiciuola,
15E si adagiò sul profumato petto
Come una stola.

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Io sospirava: — tu porrai sovr’essa
Molte maschere ancor, ma è tempo perso:
La malizia dell’uomo è profetessa,
20Passa attraverso! —

E il fruscìo delle morbide sottane
Volea beffarmi, cingendole il fianco;
E le corna mi fean con pieghe strane
Sul lato manco,

25Da quella parte ov’è annicchiato il core!...
Poi le perle arrivâr, tremule faci,
A lambir mollemente il suo candore,
Come i miei baci.

Ed io gridai: — figlie del buio immenso,
30Scordatevi i mister dell’oceano;
Ciò che davanti alla bellezza io penso
È assai più arcano! ―

Del lungo crin nel labirinto negro,
Che come spugna la luce riceve,
35Comparve allora un improvviso e allegro
Spruzzo di neve.

Ed io le dissi un mio vecchio pensiero:
― Questa bianca camelia artificiale,
Prima d’essere un fior forse fu un cero
40Di funerale.

O fantasìe dell’ammalato ingegno!
Penso, guardando il tuo largo mantello,
A quel dei morti gonnellin di legno
Fatto a pennello,

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45Gonnellino di moda eternamente!....
Vanne fanciulla, e oblìa nella tempesta
Delle note e dei salti il mar fremente
Nella mia testa;

L’amor, l’orgoglio oblia del tuo poeta,
50Le sue lotte, i suoi sogni, e le sue pene,
Là nelle braccia della prima creta
Che danzi bene! —

Ella era uscita. La lucerna mia
Mi mandava una luce sepolcrale,
55Fatta di sete e di malinconia,
Sul capezzale.

Ella era uscita. Pari a lungo e blando
Solco d’argento in coda a una barchetta,
L’effluvio suo mi addormentava, errando
60Nella stanzetta.

Ella era uscita. Mi parea sentire
Gemere mestamente i contrabbassi,
Quasi vecchioni affannati a seguire
Giovani passi.

65E gli immensi sognai lussi di pelle
In cui la faccia scioccamente prava
Ch’hanno gli amici delle donne belle
Si specchïava.

Gii scandagli sognai degli occhi abbietti
70Fra le celate invan magnificenze;
I contatti sognai, gli sconci detti,
Le trasparenze!

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E una testa di satiro sbucava,
Fuor dalle pieghe della mia cortina,
E dondolando e ghignando cantava75
Questa quartina:

— All’inferno, marito; al limbo, amante!
Vieni, fratello, a stringermi la mano:
Il publico è il padron di tutte quante,
È il gran Sultano! — 80

Ed io credetti che spuntasse il giorno;
E il suo fiato sentivo e la sua faccia,
E, come desto, cercandola intorno
Stendea le braccia....

Ma non stringea che un abito stupendo,85
Lacero e vuoto sulla coltre mia,
Come il nimbo che un angelo, cadendo,
Perde per via.