gono la morte sopra ogni cosa, ciò avviene solo perché ed in quanto essi giudicano la vita essere il loro maggior bene (o in se, o in quanto senza la vita niun bene si può godere), e la morte essere il loro maggior male. Cosí l’amor della vita, lo studio della propria conservazione, l’odio e la fuga della morte, il timore di essa e dei pericoli d’incontrarla, non è nell’uomo l’effetto di una tendenza immediata della natura, ma di un raziocinio, di un giudizio formato da essi preliminarmente, sul quale si fondano questo amore e questa fuga; e quindi l’una e l’altra non hanno altro principio naturale e innato, se non l’amore del proprio bene, il che viene a dire della propria felicità, e quindi del piacere, principio dal quale derivano similmente tutti gli altri affetti ed atti dell’uomo (e quel che dico dell’uomo intendasi di tutti i viventi). Questo principio non è un’idea, esso è una tendenza, esso è innato. Quel giudizio è un’idea, per tanto non può essere innato. Bensí egli è universale, e gli uomini e gli animali lo fanno naturalmente, nel qual senso egli si può chiamar naturale. Ma ciò non prova che egli sia né innato né vero. Per esempio, l’uomo crede e giudica naturalmente che il sole vada da oriente a occidente, e che la terra non si muova: tutti i fanciulli, tutti gli uomini che veggano da prima il fenomeno del (4132) giorno e che vi pongano mente, (se non sono già preoccupati dalla istruzione) concepiscono questa idea, formano questo giudizio, ciò immantinente, ciò immancabilmente, ciò con loro piena certezza: questo giudizio è dunque naturale e universale, e pure non è né innato (perocché è posteriore alla esperienza dei sensi, e da essa deriva), né vero, perocché infatti la cosa è al contrario. Cosí di mille altri errori e illusioni, mille falsi giudizi, in cose fisiche, e piú in cose morali, naturali, universali, immancabilmente concepiti da tutti, e ciò con piena certezza di persuasione,