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popolari non sono altri che santi o innamorati: argomenti, al piú, di novelle, non di poemi o canti eroici, né di tragedie eroiche.

Quindi apparisce che il poema epico, anzi ancora il dramma nazionale eroico, di qualunque sorta, e sia classico o romantico, è quasi impossibile alle letterature moderne. Il vizio notato da Niebuhr nell’Eneide è comune alle moderne epopee, al Goffredo particolarmente. Meglio, per questo capo, i Lusiadi: i cui fatti anco, benché recentissimi, abbondavano di poetico popolare, per la gran lontananza, ch’equivale  (4476) all’antichità, massime trattandosi di regioni oscure, e diversisime dalle nostrali. Meglio ancora l’Enriade, il cui protagonista vivea nella memoria del popolo, non veramente come eroe, ma come principe popolare.

Oltracciò quelle tradizioni di cui parla Niebuhr, dubito che possano aver luogo se non in tempi di civiltà men che mezzana (come gli omerici, quei de’ romani sotto i re, de’ bardi, il medio evo); nei quali hanno credito i racconti maravigliosi che corrono dell’antichità, e il moderno diviene antico in poco tempo. Ma in giorni di civiltà provetta, come quei di Virgilio e i nostri, l’antico, per lo contrario, divien come moderno; ed anche tra il popolo non corrono altre leggende che quelle che narransi ai fanciulli, gli uomini non ne hanno piú, non pur dell’eroiche, ma di sorta alcuna; e non v’hanno luogo altre poesie fondate in narrative popolari, se non del genere del Malmantile (29 marzo 1829).

Da queste osservazioni risulterebbe che dei tre generi principali di poesia, il solo che veramente resti ai moderni, fosse il lirico (e forse il fatto e l’esperienza de’ poeti moderni lo proverebbe); genere, siccome primo di tempo, cosí eterno ed universale, cioè proprio dell’uomo perpetuamente in ogni tempo ed in ogni luogo, come la poesia; la quale consisté da prin-