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290 | pensieri | (4347-4348) |
piú vero il dire che la scrittura, celebrata per aver popolarizzata l’istruzione, è stata al contrario per una parte la causa di depopolarizzar la letteratura, la quale una volta non poteva vivere che presso il popolo, e di separar dal popolo i letterati, i quali già ne fecero necessariamente parte. La scrittura sola ha reso possibile una letteratura piú colta, polita e perfetta, la quale di sua natura non può essere, e non sarà mai, popolare (oggi siamo a un punto, che per farla tale, bisogna sperfezionarla, tornarla a una specie d’infanzia, a una rozzezza, sacrificando il bello all’utile). Vedi p. 4367. Né solo la prosa, e le scritture dottrinali, ma la poesia, che da prima, come si è veduto, ebbe per suoi propri uditori il popolo; che costituí tutta la letteratura quando la letteratura fu popolare; che anche oggi si grida, e per tutti i secoli antichi e moderni, si è gridato, dover esser popolare, esserlo già essa di sua natura; la poesia ancora è stata perduta dal popolo per colpa della scrittura; anzi esso è il genere piú lontano dal popolare, e il piú difficile ad esser tornato tale; anzi impossibile, se non quando la poesia di qualunque nazione e letteratura moderna non si riformi, ma si sbandisca affatto, e se ne crei una in tutto e per tutto nuova. Vedi p. 4352.
Componendo senza scrivere, non fidando i propri componimenti che alla memoria (ex eo Musarum, memorum dearum, diligens et in Iliade enixe repetita invocatio: Wolf, § 20, p. lxxxix), Omero e i poeti di que’ tempi erano ben lungi dall’aspirare all’immortalità. Quid? quod ne nominis quidem immortalitas tum quenquam impellere potuit ut ei duraturis monumentis prospiceret; idque de Homero credere, optare est, non fidem (4348) facere. Nam ubi is tali studio se teneri significat? ubi professionem eiusmodi, ceteris poëtis tam frequentem, edit, aut callide dissimulat? (§ 22, p. xciv). Non si era ancora concepita l’idea dell’immortalità, molto meno il desiderio. Ben desideravasi la gloria,