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288 pensieri (4344-4345)

disegno. Ridicolo è l’attribuire a popoli bambini nella civiltà l’acutezza di conoscere, e il desiderio di provvedere, che la cognizion delle cose si trasmettesse alla posterità pel solo mezzo che allora ci aveva; versi consegnati alla memoria; e di compor versi apposta per questo fine. Vedi p. 4351, principio.  (4345) In quella letteratura antiscritturale, il solo modo di pubblicare i propri componimenti era il cantarli esso, o insegnarli ad altri che li cantassero. Fuitque diu haec (ars rhapsodorum) unica via publice prodendi ingenii (Wolf, § 23, p. xcviii). Queste furono per piú secoli le edizioni de’ greci. Tanto che anche dopo reso comune l’uso della scrittura, etiam Xenophanem poëmata sua ipsum ῤαψῳδῆσαι legamus, osserva il Wolf (ib.) citando il Laerzio, IX, 18, male inteso da altri. E forse ancora di qui venne che Erodoto, un de’ primi scrittori di prosa, anche la sua prosa (se è vero quel che si racconta; e forse questa osservazione potrebbe farlo piú probabile) volle recitare in pubblico (vedi p. 4375). Stante l’uso delle passate età, e l’assuefazione, non pareva pubblicato, edito, quello che non fosse comunicato veramente e di viva voce al popolo. Lascio che, per lungo tempo dopo il detto uso della scrittura, si continuò appresso i greci la recitazione pubblica o canto de’ versi d’Omero e degli altri poeti antichi. Ac primo quidem tempore et paene ad Periclis usque: aetatem Graecia Homerum et ceteros ἀοιδούς suos adhuc auditione magis quam lectione cognoscebat. Paucorum etiam tum erat cura scribendi, lectio operosa et difficilis; itaque rhapsodis maxime operam dabant captique mira dulcedine cantus ab illorum ore pendebant. In clarissimis huius saeculi (secolo di Pericle) rhapsodis memoratur circa Olymp. 69 Cynaethus, Pindaro aequalis, qui Chio commigravit Syracusas, vel ibi maxime artem factitavit (Wolf, § 36, p. clx). Noti sono i rapsodi del tempo di Socrate, di Platone (ib., p. clxi, not. 22) e di Senofonte, § 23,