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(4184-4185) | pensieri | 115 |
debba contentare, come pur bisognerebbe, mangiando in compagnia, per non fare aspettare, e per osservar le bienséances che gli antichi non credo curassero troppo in questo caso; altra ragione per cui essi facevano molto bene a mangiare in compagnia, come io credo fare ottimamente a mangiar da me (Bologna, 6 luglio 1826). Vedi p. 4245, 4248, 4275. (4185)
* La barbarie suppone un principio di civiltà, una civiltà incoata, imperfetta; anzi l’include. Lo stato selvaggio puro, non è punto barbaro. Le tribú selvagge d’America che si distruggono scambievolmente con guerre micidiali, e si spengono altresí da se medesime a forza di ebrietà, non fanno questo perché sono selvagge, ma perché hanno un principio di civiltà, una civiltà imperfettissima e rozzissima; perché sono incominciate ad incivilire, insomma perché sono barbare. Lo stato naturale non insegna questo, e non è il loro. I loro mali provengono da un principio di civiltà. Niente di peggio certamente, che una civiltà o incoata o piú che matura, degenerata, corrotta. L’una e l’altra sono stati barbari, ma né l’una né l’altra sono stato selvaggio puro e propriamente detto (Bologna, 7 luglio 1826).
* Pare affatto contraddittorio nel mio sistema sopra la felicità umana il lodare io sí grandemente l’azione, l’attività, l’abbondanza della vita, e quindi preferire il costume e lo stato antico al moderno, e nel tempo stesso considerare come il piú felice o il meno infelice di tutti i modi di vita, quello degli uomini i piú stupidi, degli animali meno animali, ossia piú poveri di vita, l’inazione e la infingardaggine dei selvaggi; insomma esaltare sopra tutti gli stati quello di somma vita, e quello di tanta morte quanta è compatibile coll’esistenza animale. Ma in vero queste due cose si accordano molto bene insieme, procedono da