natura dall’assuefazione. Ma egli è però certo che questi atti, insegnati dalla natura medesima (il che non si può volgere in dubbio), sono, a chi li pratica naturalmente, un conforto grandissimo ed un compenso molto opportuno nelle calamità. Quella resistenza che l’animo fa naturalmente alla sciagura e al dolore, è il piú penoso che abbiano le disavventure, è il maggior dolore che prova l’uomo. Quando l’animo è domato, ogni calamità, per grave che sia, è tollerabile. Questo domar l’animo, questo ridurlo a cedere alla necessità e conformarsi allo andamento e alla condizion delle cose, lo fa in noi il tempo, il quale però il Voltaire chiama consolatore. Ma lo fa con lunghezza; e quella prima resistenza, oltre al durar di piú, ha questo ancora di piú doloroso, che ella si rivolge e si esercita contro di noi stessi; ella è dell’animo all’animo. Laddove nei selvaggi e nelle persone volgari ella si esercita contro le cose esterne, per cosí dire; e siccome le sue operazioni sono piú vive, cosí ella langue e manca piú presto. Ella abbatte il corpo, e però travaglia assai meno l’animo; bensí, perché col corpo anco l’animo è abbattuto, perciò quelle tali persone, dopo quegli atti, si trovano aversi domato l’animo e ridotto, per dir cosí, alla dedizione, da loro stessi, senza aspettare il tempo; onde quando si risvegliano da quei furori, da quelle smanie, hanno già l’animo accomodato a sopportar la sventura, a poterla guardar fermamente in viso, senza esser però coraggiosi. Ed è già notato e notasi giornalmente che nei plebei il dolore delle grandi sventure dura assai meno che nelle persone cólte. Sicché quegli sfoghi sono veramente una medicina, quasi un narcotico, preparata dalla (4245) natura medesima, perché l’uomo potesse sopportare i suoi mali piú leggermente. E noi siamo ridotti a non saper né pure intendere come essi giovino a quelli che naturalmente gli vediamo esercitare. Ed è questo un altro beneficio della filosofia e della civiltà, che pre-