nella cognizione, nel sentimento e nel gusto dell’antica e buona lingua e stile italiano, che è quanto dire a quasi tutti i presenti italiani. Ciò viene, fra l’altre cose, perché quello che allora fu familiare nella lingua, or non lo è piú, anzi è antico ed elegante, ovvero è arcaismo. Non per tanto è men vero quel che io altrove ho detto. Anzi è tanto vero, che anche dopo che la lingua aveva acquistato la materia e i mezzi e la capacità della eleganza e del parlar distinto da quello del volgo e dall’usuale, si è pur seguitato sí nel cinquecento e seicento sí nel presente secolo da molti cultori e amatori dello scriver classico, a usare una maniera familiare, sovente non avvedendosene o non intendendo bene la proprietà e qualità della maniera che sceglievano e usavano, e sovente anche intendendo, credendo di usare una maniera elegante. E ciò si è fatto in due modi. O adoperando le stesse forme antiche, le quali oggi non sono piú familiari, anzi eleganti, onde n’è risultata opinione di eleganza a tali stili ed opere modellate sull’antico, ma veramente esse hanno del familiare, perché il totale dello stile antico da essi imitato necessariamente ne aveva anche indipendentemente dalle forme, bensí per cagion loro e per conformarsi e corrispondere ad esse forme che allora erano necessariamente familiari. Ovvero adoperando le forme familiari moderne a esempio e imitazione degli antichi, e della familiarità che nelle forme e nello stile loro si scorgeva, benché non bene intendendola, e sovente confondendo sí la familiarità imitata sí quella (4067) che adoperavano ad imitarla, colla eleganza, dignità e nobiltà e col dir separato dall’usuale, perciò appunto che la familiarità in genere non era e non è piú usuale, e l’uso della medesima è proprio degli antichi. Il terzo modo, che sarebbe quello di usar l’antico e il moderno e tutte le risorse della lingua, in vista e con intenzione di fare uno stile e una maniera né familiare né antica,