simili moralmente assai piú che nella selvaggia, e contribuendo alla infelicità dello spirito gli uni degli altri, essi non si nocciono scambievolmente meno, né si cagionano l’un l’altro minore infelicità, né di questa ne son manco cagione essi, di quel che avvenga nella società barbara, dove il nocumento scambievole e l’infelicità che risulta dalla società stessa è piú fisica che morale, perché i lor subbietti, cioè quegli uomini, sono altresí piú materia che spirito nella stessa proporzione. Anzi quanto è maggiore l’infelicità dello spirito che quella del corpo, tanto è maggiore il danno morale, o influente principalmente sul morale, e affliggente il morale, che gli uomini civili si recano scambievolmente (anche quando offendono in cose e con mezzi fisici): e quindi tanto maggiore è l’infelicità che gli uni agli altri in tal società si procurano, di quella che nelle società barbare o semibarbare o semicivili, a proporzione. E quanto a se stessi, niuno nella società selvaggia nuoce a se moralmente, come inevitabilmente accade nella civile. Fisicamente già non può nuocersi il selvaggio se non per accidente. Il civile arriva fino al suicidio. Insomma si conchiude che, tutto compensato, la società civile per sua natura è cagione all’uomo, benché di minore infelicità fisica ed appariscente (o piuttosto di minori sciagure fisiche, perché com’ella noccia generalmente al fisico, e particolarmente colle malattie, che a lei quasi tutte si debbono ec., si è mostrato in piú luoghi), pur di maggiori sciagure morali, e tutto insieme (3934) di molto maggiore infelicità, che non è la società selvaggia o mal civile, altresí per sua natura. E similmente, compensato il tutto insieme, è molto piú lontana dalla natura, benché le snaturatezze della società selvaggia diano molto piú nell’occhio, non per altro che perché sono piú materiali e fisiche, siccome gli uomini che compongono tali società, e siccome le sciagure e la infelicità generale che ne risulta. Non v’é cosa piú contro