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264 | pensieri | (3885-3886) |
di pronunzia, della qual proprietà in questo e simili casi v’hanno molti altri esempi ec. (vedi la p. 3881 ec.). Il qual raddoppiamento bensí può avere avuto luogo e occasione dal voler evitare l’iato, ma in modo che ad evitarlo sia stato interposto il v, non in quanto semplicemente atto e solito ad interporsi tra le vocali ianti, ma in quanto l’una e la piú sonante di queste nel nostro caso era l’u, cioè appunto un altro v, secondo il detto altrove circa la medesimezza di queste lettere u e v presso i latini massimamente. I quali non usavano che un carattere per esprimer l’una e l’altra, cioè anticamente e nel maiuscolo il V, piú recentemente e nel semimaiuscolo o unciale, o forse in quello ch’era allora, o anche anticamente, il corsivo e l’usuale, sia tutt’uno coll’unciale, sia diverso ec., l’u, come ne’ palimpsesti vaticani, ambrogiani, sangallesi, veronesi ec. (15 novembre 1823).
* Alla p. 3588, margine. Di ciò che io, sapendo essere vostro servitio, senz'altri vostri commandamenti era tenuto di fare. Cioè senz’alcun vostro comandamento, di proprio moto. Bernardo Tasso, Lettere, Venetia, 1603, appresso Lucio Spineda. Libro I, cart. 27, pag. 2, in-8o piccolo (17 novembre 1823). (3886)
* Altrove osservo che il cul de’ latini si cangia assai sovente nell’italiano in chi o cchi (o-cu-lus, o-cchi-o) o gli (pe-ri-cul-um, peri-gli-o), nello spagnuolo in -j- (o-cu-lus, o-j-o) nel francese in ill o il o eil o eill o ail o aill ec. (péril, abeille, vermeil, ouaille, o-cul-us, o-eil ec.). Notisi che tali cangiamenti non sono certo direttamente stati fatti da cul, ma da cl contratto nella volgar pronunzia latina, come si vede anche non di rado nel latino illustre e scritto, massime appo i poeti; come seclum, periclum ec. (17 novembre 1823).