(3739-3740-3741) |
pensieri |
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dee fare in noi, in luogo dell’esperienza, l’ingegno e il giudizio nostro; cioè mostrarci, non per prova, come fanno gli scrittori nostri classici, ma per discernimento e forza di penetrazione e finezza e giustezza di sentimento, benché sprovveduto di prova pratica, che tali e tali vocaboli e modi sono italianissimi per potenza, onde a noi sta il renderli tali di fatto, sieno o non sieno ancora stati resi tali dall’uso, o da parlatore, o da scrittore veruno; ché ciò a’ soli pedanti dee far differenza, e soli (3740) essi ponno disdire o riprendere che tali voci e forme (greche, latine, spagnuole, francesi, o anche tedesche ed arabe ed indiane d’origine, di nascita e di fatto) italianissime per potenza, si rendano italiane di fatto, senza l’esempio di scrittore d’autorità, siccome essi soli ponno concedere e lodare che mille vocaboli e modi niente italiani per potenza (qualunque sia la loro origine), pur si usino, perché usati da scrittori classici che infelicemente li derivarono d’altronde, o dalle italiane voci e maniere, o li inventarono. Questi mai non furono né saranno veramente italiani di fatto (se non quando l’uso e l’assuefazione a poco a poco li rendesse tali ancor per potenza); quelli per solo accidente sono nati in Francia o in Ispagna o in Grecia ec., piuttosto che in Italia, ma per propria loro natura non sono manco italiani che spagnuoli ec., né manco italiani di quelli che nacquero in Italia (e di quelli che dall’Italia altrove passarono) e forse talora ancor piú di alcuni di questi, che per solo accidente nacquero tra noi. Siccome per solo accidente e contro la lor natura vennero tra noi que’ vocaboli (3741) e modi che nell’italiano son latinismi o francesismi ec., o che i classici scrittori, o che i mediocri, o che i cattivi, o che la corrotta favella gli abbia introdotti e usati, ché queste differenze altresí sono affatto accidentali e nulle per la ragione (20 ottobre 1823).